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Repubblica: STATO ALLO SFASCIO SE VINCE IL "SÌ"

il "sì" a questo referendum ha come obiettivo consapevole o inconsapevole lo sfascio del patto di convivenza tra i cittadini sul quale è nata la Repubblica nel 1946

18/06/2006
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la Repubblica

EUGENIO SCALFARI
A seguito dell´articolo pubblicato qui domenica scorsa, dal titolo "Le poltrone aumentano ma cala il consenso", ho gustato una prevedibile popolarità tra le file e sui giornali degli avversari del governo Prodi, oltre che tra i tanti sinceri sostenitori del centrosinistra delusi dal discorde vociare di molti "ministeriali", dall´affastellarsi di veti e di proposte contraddittorie e dalla mancanza d´una mano ferma che riconducesse alla sobrietà e all´unità una coalizione in evidente crisi di nervi.
Mi ha fatto piacere aver dato voce alle preoccupazioni di quanti si riconoscono nella nuova maggioranza e la vorrebbero meno incerta e più compattamente schierata. Quanto agli avversari del governo che sperano in un suo rapido logoramento e in una rivincita berlusconiana a portata di mano, vorrei invitarli ad un più sodo realismo. I diciannove milioni e mezzo di italiani che il 9 e 10 aprile hanno votato Prodi e l´Unione sono tutti ben consapevoli – a cominciare da me – del valore di quel voto e del risultato politico raggiunto. L´eredità di cinque anni di malgoverno emerge ormai al di là di ogni dubbio per quello che noi temevamo che fosse e peggio ancora: una catastrofe economica e finanziaria, l´isolamento in Europa, l´inutile rischio dei nostri soldati in Iraq, l´irrilevanza della nostra politica estera in Medio Oriente e nel mondo. Ma anche un imbarbarimento morale, il galoppo degli egoismi, lo sfascio costituzionale, lo sfarinamento delle istituzioni.
Il voto del 10 aprile ha messo il punto a questo processo, ma ha fatto emergere una realtà che solo alcuni avevano per tempo previsto e che ora si manifesta in tutta la sua gravità. Con essa il centrosinistra e il suo governo debbono cimentarsi.
Il compito nostro, di testimoni partecipi, è di incoraggiare il buon governo e la buona opposizione e di segnalare con rigore errori e ritardi degli uni e degli altri.

A nostra volta anche noi, liberi giornalisti in liberi giornali, non siamo esenti da errori, come lo sono i magistrati e tutte le istituzioni di garanzia. Ma una cosa è certa: la libera stampa non è portatrice di alcun interesse. Se lo fosse verrebbe pubblicamente squalificata, innanzitutto dai suoi lettori.
Noi di Repubblica la pensiamo così da trent´anni e abbiamo sempre operato e continueremo ad operare di conseguenza.
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Il 25 giugno, cioè esattamente tra sette giorni, avremo l´ultimo appuntamento elettorale di questa troppo lunga stagione. Non sarà un´ordalia tra il Bene il Male, come invece pensa Bossi; ma certo sarà un voto della massima importanza.
La differenza non è tra chi, votando "sì", vuole innovare la Costituzione attuale e chi, votando "no", vuole invece pietrificarla nel suo dettato vigente. No, non è questa la differenza. Chi vota «sì» vuole – consapevolmente o senza rendersene conto – sfasciare la struttura costituzionale della democrazia repubblicana; chi vota "no" vuole invece impedirlo, rendere impossibile lo sfascio e le sue rovinose conseguenze, restando aperta la possibilità che l´attuale Parlamento possa avviare le opportune modifiche per aggiornare singoli punti senza abbattere l´intero edificio. Questa è la differenza e su questa gli italiani sono chiamati a scegliere.
I mezzi di informazione hanno il compito di chiarire con il massimo di obiettività non solo la posta complessiva in gioco (della quale abbiamo già detto) ma i singoli aspetti. Su questo punto Giovanni Sartori ha, secondo noi, piena ragione quando osserva che la stampa sta adempiendo al suo compito ma la televisione non lo sta adempiendo affatto e il servizio pubblico Rai meno che mai.
Il duopolio televisivo Rai-Mediaset sta disinformando i cittadini sul contenuto del referendum. Questo comportamento è della massima gravità ed avviene senza che né il Consiglio d´amministrazione della Rai (tanto meno quello di Mediaset) né il ministro delle Comunicazioni né l´Autorità garante si siano dati la pena di raddrizzare e colmare questa evidente violazione dei doveri d´ufficio che incombono sia alla televisione pubblica sia a quella privata.
A sette giorni dal voto referendario sarà comunque difficile colmare questo buco nero che si è prodotto nell´indifferenza generale. Non toglie che interventi riparatori siano doverosi e debbano verificarsi fin dalle prossime ore. Faccio mie interamente le osservazioni che Sartori ha più volte elencato sul Corriere della Sera. Pare anche a me che l´assenza dal campo del presidente della Rai, Petruccioli, del presidente di Mediaset, Confalonieri, del ministro delle Comunicazioni, Gentiloni, non sia in alcun modo giustificabile. Li esorto a impegnarsi affinché la materia referendaria sia discussa con l´ampiezza e la vivacità necessarie con l´obiettivo di chiarire la portata del testo in votazione e delle critiche contro di esso formulate.
Per quanto mi riguarda, mi provo qui a indicare con la massima sintesi i punti dirimenti della questione.
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La devoluzione dei poteri alle Regioni. I poteri specificamente elencati sono tre: la Sanità, l´istruzione, la polizia regionale. Più tutti gli altri elencati negli statuti delle singole Regioni, ivi compresi i mutamenti dei reciproci confini territoriali nonché gli accorpamenti pluriregionali, previo accordo degli enti interessati. Con la generica riserva dell´interesse nazionale, che significa troppo o troppo poco e che sarà comunque fonte di perenni conflitti tra Stato e Regioni chiamando in causa ad ogni piè sospinto il giudizio della Corte costituzionale, riformata a sua volta dalla presenza di membri di derivazione e nomina regionale.
Il costo ragionevolmente stimato di questa riforma è previsto in 250 miliardi di euro, una cifra enorme per la quale non è prevista né possibile alcuna copertura. Sorvolo sulla disparità tra Regioni ricche e Regioni povere, alla quale dovrebbe dare rimedio un fondo perequativo nazionale senza peraltro alcuna disposizione sul federalismo fiscale.
Poteri del premier eletto con voto diretto popolare insieme alla Camera dei deputati. Il premier può licenziare ministri e sottosegretari. Può sciogliere la Camera dei deputati chiedendo al Capo dello Stato di promulgare lo scioglimento come atto dovuto. La Camera può votare una mozione di sfiducia solo se è in grado di esprimere un altro premier purché il voto dell´opposizione non sia determinante. In apertura di legislatura il premier si presenta alla Camera ed espone il suo programma. Ottenuta la fiducia sta a lui di comporre il governo il quale non deve ripresentarsi alle Camere.
Poteri del Capo dello Stato. Nomina i membri della Corte costituzionale di sua spettanza. È titolare esclusivo del diritto di grazia. I senatori a vita sono aboliti e sostituiti da tre deputati a vita.
Ripartizione dei poteri tra Camera e Senato. Alla Camera spetta l´approvazione di tutte le leggi riguardanti l´interesse dello Stato, a cominciare dalle leggi di bilancio e a tutta la materia della pubblica finanza. Il Senato può chiedere la correzione di specifiche norme ma la decisione ultima spetta alla Camera. Reciprocamente spetta al Senato l´approvazione delle leggi che interessino esclusivamente le Regioni. Tutte le leggi che interessano sia lo Stato che le Regioni sono discusse in entrambe le Camere. La parola definitiva spetta all´una o all´altra secondo che sia prevalente l´interesse dello Stato o quello delle Regioni. L´arbitrato su eventuali conflitti è effettuato dalla Corte costituzionale.
Queste, ridotte all´osso, sono le disposizioni della nuova Costituzione che sostituiscono con un unico documento ben 57 articoli della Costituzione vigente contravvenendo all´articolo 138 della medesima il quale prevede che gli emendamenti al testo costituzionale siano messi in votazione con specifici atti legislativi e uno alla volta.
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È chiaro che io sono interamente contrario a questa riforma che avrà secondo me l´effetto di favorire le regioni più ricche, disarticolare l´intero sistema decisionale, ridurre la Camera ad un´istituzione dominata dal potere esecutivo, privare i deputati dell´opposizione del diritto di partecipare alla fiducia al governo in parità con i membri della maggioranza, ridurre il Capo dello Stato ad un pupazzo notarile, alimentare a cascata i conflitti tra Stato e Regioni. Rendere insomma il sistema assolutamente ingovernabile, come tutti i costituzionalisti di questo Paese hanno dichiarato in un documento che dovrebbe essere letto integralmente nelle nostre trasmissioni televisive dedicate a quest´argomento.
Dichiaro esplicitamente il mio dissenso affinché i lettori siano avvertiti che questa è la mia verità sulla riforma in questione e che essa può ovviamente essere contraddetta da una diversa interpretazione. Ma a me sembra che non vi possa essere un´altra interpretazione opposta ma egualmente ragionevole e fondata sul testo in discussione.
L´esito del referendum non avrà effetti diretti sulla vita del governo Prodi. Ma ciascuno capisce che qualora un aborto costituzionale di queste dimensioni fosse approvato dai "sì" nonostante che tutti i partiti dell´Unione sono schierati per il "no", le conseguenze politiche sarebbero tali da mettere seriamente a rischio l´esile maggioranza del 10 aprile, oltreché precipitare il Paese in uno stato di totale marasma.
Aggiungo che tutto ciò avverrebbe in presenza d´una sciagurata legge elettorale che dovrà essere al più presto riformata con la collaborazione di tutte le forze politiche.
Per queste ragioni confermo che il "sì" a questo referendum ha come obiettivo consapevole o inconsapevole lo sfascio del patto di convivenza tra i cittadini sul quale è nata la Repubblica nel 1946; il «no» vuole evitare lo sfascio senza escludere la discussione parlamentare successiva sui possibili e auspicabili emendamenti tra i quali primo tra tutti, il potere del presidente del Consiglio di poter licenziare membri del governo inefficienti o che si fossero resi responsabili di gravi mancanze.
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Concludo sulle tre missioni all´estero del presidente del Consiglio in Europa, del ministro degli Esteri a Washington e del ministro dell´Economia all´Ecofin e alla Commissione di Bruxelles.
Mi sembra che in tutte e tre le missioni gli obiettivi e gli interessi italiani siano stati rappresentati con chiarezza e motivati con ferma determinazione. Credo che ciò abbia accresciuto il prestigio del nostro Paese. Attendiamo ora i provvedimenti, specie per quanto riguarda l´economia.
I dissensi nel governo e nella coalizione sembrano nel frattempo diminuiti, ma permangono in alcuni settori e su alcuni temi peraltro non prioritari. Non preoccupa tanto l´incidenza di tali dissensi sull´azione di governo ma, come già scrivevo la scorsa settimana, preoccupa l´erosione del consenso che essi possono produrre. Perciò va fatto capire ai recidivi che lo loro azioni di disturbo ottengono il solo effetto di irritare senza null´altro produrre: comportamenti sventati e senza futuro.