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Repubblica-Stato laico e religioni

Stato laico e religioni BERNARDO VALLI I rapporti tra Stato e Chiese, ma potremmo anche dire tra società e religione, sono molto diversi in Europa. Non sono gli stessi nemmeno in due Paesi a ...

27/10/2003
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la Repubblica

Stato laico e religioni

BERNARDO VALLI

I rapporti tra Stato e Chiese, ma potremmo anche dire tra società e religione, sono molto diversi in Europa. Non sono gli stessi nemmeno in due Paesi a stragrande maggioranza cattolica, come Francia e Italia, anche se le reazioni alla sentenza dell'Aquila sulla rimozione del crocifisso dalla scuola possono ricordare le polemiche sull'espulsione delle liceali musulmane di Aubervilliers, nella periferia parigina, che portavano il velo. La differenza salta subito agli occhi. Anzitutto il problema è rovesciato. Qui si esclude il simbolo cristiano; là si escludono simboli musulmani.

In entrambi i casi ci si richiama alla laicità della scuola pubblica. Ma nel primo caso a invocarla è un musulmano, che chiede l'imparzialità affinché sia garantita la libertà religiosa ai propri figli. Nel secondo sono i principi della Repubblica laica che s'oppongono a un'esibizione di simboli a fini di proselitismo.
Già questo accostamento è destinato a urtare molte sensibilità. Si può paragonare la croce cristiana a un indumento prescritto dall'Islam? Nella Francia laica i crocefissi sono scomparsi dalla scuola pubblica all'inizio del '900 (con la parentesi degli anni dell'occupazione tedesca, quando il regime collaborazionista di Vichy si richiamava a Dio, Patria e Famiglia). La laicità dello Stato italiano è di diversa natura. La sua capitale è anche quella della Chiesa cattolica. La società non subisce l'influenza di un tempo, ma ha altre reazioni.
I rapporti tra società e religione variano talmente di paese in paese che nessuno si sogna di omogeneizzarli nell'ambito dell'Unione. Si rischierebbe di violentare le identità nazionali, essendo quei rapporti dettati dalle specificità storiche, culturali e religiose. Basta ricordare l'ancora acceso dibattito sull'opportunità di ricordare o meno nel preambolo della Costituzione europea l'impronta cristiana, o giudeo-cristiana, della nostra civiltà. Un richiamo storico a mio avviso ampiamente giustificato anche da un punto di vista laico. L'argomento diventa incandescente soprattutto quando quei rapporti escono dal contesto giuridico dei concordati, diventano concreti e straripano nella società, toccando sentimenti e tradizioni che non sono gli stessi in ogni nazione. La scuola è il terreno più sensibile. In questo Francia e Italia, pur avendo accenti diversi, si assomigliano.
In pochi minuti, la sentenza del tribunale dell'Aquila ha suscitato reazioni appassionate, polemiche, grida accorate, qualche invettiva. Reazioni troppo rapide, più dettate dall'emozione che dalla ragione. Quando, da "convinta cattolica", dice che non si sognerebbe mai di contestare in un paese islamico i versetti del Corano letti in un'aula scolastica, Maria Burani, rappresentante di Forza Italia, dimentica che la decisione di rimuovere la croce dalla scuola deve essere valutata nell'ambito delle nostre leggi democratiche, e non in rapporto a quel che accade nel mondo musulmano. Questo è il privilegio e il dovere di chi agisce in un paese sovrano in cui vige lo stato di diritto. Sempre l'emozione, in lui comprensibile, ha fatto esclamare al cardinale Tonini: "Allora perché non togliere le chiese e impedire alla Croce Rossa di svolgere la sua azione?". Il crocefisso alle spalle del maestro o del professore non è un'ambulanza, che si chiama al telefono in caso d'urgente necessità. In quanto alle chiese di qualsiasi confessione sono protette proprio dalla laicità, che nei nostri giorni è garanzia di libertà religiosa in tutte le società europee. È invece vero che la sentenza dell'Aquila può "offendere gran parte del popolo italiano", come ha aggiunto l'arcivescovo emerito di Ravenna. La può offendere perché colpita nei suoi sentimenti e nelle sue tradizioni.
Ma l'offesa consiste in particolare nella rimozione del crocifisso, nel gesto che toglie dalla parete un simbolo carico di valori religiosi e storici, lasciando una traccia che può rammentare quel che per secoli sarebbe stato considerato un vuoto sacrilego. Sul piano giuridico la sentenza del giudice Montanaro non è invece offensiva. Essa si richiama alla Corte Costituzionale, secondo la quale la salvaguardia del pluralismo religioso e culturale, principio base della nostra Repubblica, può realizzarsi solo se l'istituzione scolastica rimane imparziale di fronte al fenomeno religioso. Il giudice dell'Aquila ha ritenuto che la presenza del crocifisso significhi "un'implicita adesione a valori che non sono realmente patrimonio comune di tutti i cittadini". E altresì che la presenza di quel simbolo dia un connotato confessionale alla scuola pubblica, ridimensionandone cosi l'immagine pluralista. È impossibile a questo punto non sottolineare che il crocifisso dell'Aquila ha un valore simbolico assai più forte dei veli delle liceali proibiti, nel nome della laicità democratica, a Aubervilliers.
A tormentare la sentenza dell'Aquila, a intorbidirne la razionalità, c'è il fatto che essa è scaturita da un ricorso presentato da Adel Smith, presidente dell'Unione musulmani d'Italia. Questo rende più insopportabile agli occhi di molti l'invito a rimuovere il crocifisso. Può apparire come un atto di sottomissione, una concessione alla nuova comunità immigrata che si espande in tutte le contrade europee, accompagnata da tanti pregiudizi. Le reazioni, oltre che religiose, sono inevitabilmente politiche.
La sentenza si presta a campagne xenofobe. Campagne che dimenticano I più elementari principi democratici e trascurano alcune realtà. Tra quest'ultime il fatto che l'Europa intera, non soltanto l'Italia, ospita ormai nuove comunità religiose alle quali si devono riconoscere i nostri stessi diritti, e dalle quali si deve pretendere il rispetto, nello stesso tempo, delle nostre leggi.