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Repubblica-Tutti i misteri della Finanziaria

Tutti i misteri della Finanziaria TITO BOERI E GIUSEPPE PISAURO A questa Finanziaria si chiedeva un'inversione di rotta, tanto più decisa in quanto il ministro chiamato a vararla non pot...

05/10/2004
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la Repubblica

Tutti i misteri della Finanziaria

TITO BOERI E GIUSEPPE PISAURO

A questa Finanziaria si chiedeva un'inversione di rotta, tanto più decisa in quanto il ministro chiamato a vararla non poteva chiamarsi fuori dalle scelte che avevano portato al crollo delle entrate ordinarie (un punto e mezzo del Pil in meno dal 2001 al 2003), con molti cittadini indotti a pagare le tasse solo con i condoni. C'è stata questa inversione? Solo a parole. Siamo lontani dai 24 miliardi previsti dal Dpef e ne occorreranno altri da qui alla fine dell'anno se vogliamo restare sotto il 3 per cento. E incombe sulla manovra il taglio delle tasse che annullerebbe gli effetti degli interventi sulle entrate, forse il lato più convincente della manovra.
Il tetto del 2% alla spesa nominale, la "nuova regola di bilancio", non solo non è nuova (è il metodo con cui da almeno 30 anni la Ragioneria dà a marzo direttive ai ministeri per costruire il nuovo bilancio), ma si è dimostrata inefficace, se non come misura d'emergenza. Del resto, il taglia-spese del 2002 è servito solo a trasferire impegni sul 2003 e lo stesso art. 3 della Finanziaria prevede che per rispettare i limiti si possa ricorrere a "rimodulazioni negli esercizi successivi". Insomma, il tetto non può portare alla riduzione permanente della spesa su cui si è impegnato il governo in sede comunitaria.
I tagli colpiscono in buona misura il conto capitale (circa 3 miliardi) e anche quelli sulla spesa corrente (6,5 miliardi), per la parte che va a impattare sui trasferimenti a Regioni e Comuni, rischiano di tradursi in riduzioni degli investimenti. E sono tutt'altro che uniformi. Si risparmiano dai tagli le pensioni di anzianità, dopo aver nuovamente colpito con gli interventi decisi a luglio le generazioni che avevano già pagato con la riforma pensionistica del 1995. Si lascia spazio (si parla di 750 milioni) ad ammortizzatori molto generosi (prepensionamenti?) per i lavoratori Alitalia in esubero, quando ogni anno centinaia di migliaia di lavoratori delle piccole imprese vengono licenziati avendo diritto, nella migliore delle ipotesi, ai miseri (e brevi) sussidi di disoccupazione. I tagli ai Comuni sono basati sul principio della spesa storica e quindi chi ha speso di più - come Milano nel 2000 - potrà spendere di più. Sopravvivono alla scure anche l'università (non riformata), gli incentivi per l'acquisto di pc, decoder e utilizzo della banda larga (tutti di efficacia molto dubbia).
Nella manovra compaiono 7 miliardi di una tantum, che dovrebbero provenire dall'applicazione dello schema del "vendi e riaffitta" applicato alle sedi degli uffici pubblici. Si tratta dell'accensione di nuovo debito: lo Stato incassa una somma oggi che si impegna a ripagare con gli interessi mediante la futura spesa per affitti. Un'altra parte (intorno ai 3 miliardi) verrebbe dal trasferimento all'esterno della pubblica amministrazione, ma sempre in mano pubblica, di una fetta consistente della rete stradale statale (4.500 Km), attualmente a circolazione libera, domani da sottoporre a pedaggio. Di privatizzazioni, comunque, non c'è traccia.
Gli interventi sulle imposte dovrebbero offrire un gettito aggiuntivo di 7,5 miliardi, sufficienti a sostituire le una tantum del 2004 che verranno meno nel 2005. Sembra un'importante inversione di tendenza rispetto al recente passato anche perché interrompe la tregua fiscale di fatto concessa al lavoro autonomo in questa legislatura. Ma il dettaglio delle misure proposte fa sorgere non pochi dubbi. La revisione degli studi di settore è un'operazione lunga e complessa. Come potrà avere effetti già nel 2005? Cosa ci garantisce che la nuova versione del concordato triennale abbia maggiore successo che nel 2004? Le misure di contrasto dell'evasione (Iva e redditi immobiliari) sono condivisibili, ma è difficile valutare l'incremento di gettito che ne potrà scaturire.
Stando a quanto sostenuto sulle colonne del Corriere dal presidente del Consiglio, Finanziaria e riforma fiscale "saranno approvati entro il 31 dicembre, per entrare in vigore dal 1° gennaio". Si può allora immaginare un emendamento presentato quando la sessione di bilancio starà per concludersi, con voto di fiducia motivato dalla ristrettezza dei tempi. Tuttavia i due provvedimenti non possono che essere discussi congiuntamente. Prendendo per buone le cifre ufficiali, il taglio delle aliquote (6 miliardi) servirà a mala pena a compensare le maggiori entrate decise dalla Finanziaria. Tutta l'operazione consiste allora in una redistribuzione del carico tributario... Quali categorie si avvantaggiano e quali vengono colpite? Come può il Parlamento esprimersi dietro a questo velo di ignoranza? Il presidente della Camera, oltre a chiarimenti sul tetto del 2%, dovrebbe perciò chiedere l'esame contestuale della Legge Finanziaria e del cosiddetto collegato. Sono atti inseparabili l'uno dall'altro.
Se il Parlamento fosse messo in condizione di valutare la manovra nel suo complesso, dovrà chiedersi se abbiamo risorse sufficienti per ridurre le aliquote dell'imposta sul reddito nel 2005. Per rispondere è utile ricordare che anche l'obiettivo di un disavanzo 2004 al 2,9 per cento del Pil non è affatto scontato. Per rendersene conto basta confrontare le condizioni che la Relazione trimestrale di cassa poneva a maggio (incassi dal concordato tributario e dal condono edilizio in linea con le previsioni, un piano di dismissioni di immobili per 9 miliardi, il rispetto del patto di stabilità interno), tutte non realizzate, e le nuove misure decise a luglio (7,5 miliardi di cui 2 derivanti da misure amministrative), mai realizzate. L'impressione è che il tendenziale del consuntivo 2004 (su cui, tra l'altro, si applica la regola del 2% per il 2005) stia ancora viaggiando ben oltre il 3 per cento.
il testo integrale è disponibile sul sito www.lavoce.info