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Repubblica: Uccidersi a quattordici anni perché ti chiamano secchione
Marco Lodoli
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Ischia, era il primo della classe. La madre accusa la scuola
La notizia del suicidio di un quattordicenne dà così tanta pena da rendere quasi impossibile una riflessione: soltanto immaginare i pensieri e i sentimenti che hanno portato quel bambino verso la morte getta in un abisso spaventoso, in fondo a un pozzo dove si può solo gridare di rabbia e di dolore. Pare che fosse il primo della classe, che avesse tutti nove.
E che per questo i compagni lo deridevano, lo tormentavano, lo escludevano. Pare sia questo il motivo del suicidio, anche se si fa fatica ad accettarlo.
Vicino casa mia c´è la parrocchia di Sant´Angela Merici, e ogni volta che ci passo davanti leggo una targa fissata sul muro: ricorda una visita di Giovanni Paolo II, ricorda la sua esortazione a tendere sempre alla santità. Non ad essere buoni, non ad essere bravi cristiani, ma essere santi. Quest´invito all´eccellenza mi dà sempre un brivido. Non importa se crediamo o meno in Dio, ciò che importa è quanto oggi crediamo al superamento dei nostri limiti, alla tensione verso il meglio, alla nostra possibile trasformazione in esseri nobili, valenti, impegnati a raggiungere la nostra vetta. Sembra che oggi in Italia questa spinta a raddoppiare o triplicare i propri naturali talenti sia dimenticata: si punta alla sufficienza, al sei esistenziale, alla linea di galleggiamento. Certo, la vita è dura, faticosissima, è già mantenersi a galla è un´impresa: manca il lavoro, mancano le prospettive, le speranze. Però è anche vero che ogni tentativo di dare di più, di uscire dalla palude tiepida e tranquilla è osteggiato. I ricercatori sono costretti a emigrare verso le università tedesche o americane, le menti più aperte e curiose devono andarsene, oppure accettare la mediocrità, la piccola raccomandazione, l´invito a non alzare troppo la cresta. E chi a scuola vuole dare il massimo, rischia di venire sbeffeggiato e messo nell´angolo. Darsi da fare è inutile, se non nocivo. In fondo la televisione è piena di gente che non sa fare nulla e ottiene primi piani, denari a manciate, popolarità. E la politica raccoglie tante mezzecalze che chiacchierano a vuoto e se la passano alla grande. Perché fare di più? Solo per umiliare i pigri, per sbattere in faccia agli inetti il proprio impegno? Attento, pigri e inetti sanno come vendicarsi, come ridicolizzare i tuoi sforzi.
Questa morte è atroce, ma può aiutarci a riconsiderare i valori di fondo della nostra società, a lavorare per un altro immaginario collettivo. Quel bambino finito così tragicamente deve essere un richiamo potente alla nostra coscienza, ricordare a tutti quanti che la vita ha un senso, ed è bella, solo se si dedica a quanto di meglio contiene e può esprimere: non dico alla santità o all´eccellenza assoluta, ma almeno a fare la propria parte fino in fondo, per non essere comparse scontente, rabbiose, ghignanti.