Repubblica: "Un errore chiudere le porte ma per vincere servono progetti"
Parla Lucio Luzzatto, genetista ed ematologo, tornato in Italia dopo 30 anni passati tra Londra, New York e Nigeria
INTERVISTA
i migliori Importante attirare i migliori, qualunque sia la loro origine E non basta solo lo stipendio
ELENA DUSI
ROMA - Lucio Luzzatto, genetista ed ematologo di fama mondiale, è tornato in Italia dopo trent´anni passati tra Londra, New York e Nigeria. Dopo l´incidente del 2004 all´Istituto Tumori di Genova (sollevato dall´incarico di direttore per differenza di vedute con il commissario) guida ora l´Istituto Toscano Tumori.
Cosa pensa dell´interruzione del programma "Rientro dei cervelli"?
«Non lo sapevo, e mi dispiace. Un ragazzo che torna dall´estero non è solo un ricercatore in più per i nostri laboratori. Spesso e volentieri si tratta di un giovane che ha imparato nuovi metodi di lavoro».
Il "rientro" poteva essere una chance per rivitalizzare la ricerca italiana?
«In realtà occorrono soluzioni più radicali. La nostra spesa in ricerca è la metà rispetto a quella degli altri paesi europei, e i giovani scienziati validi che possiamo assumere sono troppo pochi. Poi abbiamo smesso di elaborare "progetti di ricerca" in favore delle "commesse". Cioè ci illudiamo di poterci finanziare con la ricerca applicata senza coltivare quella di base».
Negli Usa o in Gran Bretagna avrà incontrato molti giovani italiani. Che aspettative avevano?
«Tutti o quasi vogliono tornare in Italia. Ma se si superano gli 8-10 anni e magari i bambini crescono all´estero, riprendere la strada di casa diventa difficile».
E ricercatori stranieri desiderosi di fare esperienza nel nostro paese?
«Sì certo, ci sono. Come Istituto Toscano Tumori abbiamo pubblicato due bandi di reclutamento su Nature. Mi sono arrivati una quarantina di curriculum e gli italiani non superano la metà. Ci sono tedeschi, americani, giapponesi, indiani. La fame di posti di lavoro nel campo della ricerca esiste ovunque e per noi è importante attirare i migliori, qualunque sia la loro origine. Ai prescelti, come è uso negli Stati Uniti, non offriremo uno stipendio e basta. Avranno come collaboratori un tecnico e un giovane in formazione. Disporranno dei soldi necessari per mandare avanti il laboratorio a fondo perduto per tre anni, e questo grazie a un investimento della Regione Toscana».
Quanti sono in Italia i centri di ricerca che reclutano "cervelli" in questo modo?
«Pochi, forse una manciata. Da noi si usa il sistema del reclutamento a singhiozzo. Le porte rimangono sbarrate per anni e poi si aprono all´improvviso, facendo entrare un po´ di tutto. Così ogni sei o sette anni si decide di imbarcare fino a duemila giovani tutti insieme. Senza contare che nel frattempo abbiamo perso dei ricercatori promettenti, oppure gli abbiamo fatto fare la fame. E abbiamo completamente saltato una generazione. In termini scientifici perdere sei o sette anni vuol dire veramente tanto».
Il singhiozzo è un brutto vizio tipico del nostro paese?
«Ero in Gran Bretagna durante la stretta finanziaria decisa da Margaret Thatcher. I rettori si riunirono e decisero di stringere la cinghia anche più del necessario, ma di continuare comunque ad assumere almeno 150 nuovi ricercatori all´anno. Avevano capito che creare dei buchi nel reclutamento poteva creare danni enormi».