Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Repubblica-Una sfida tra Totti e Dante, ma poi ci capiremo

Repubblica-Una sfida tra Totti e Dante, ma poi ci capiremo

Una sfida tra Totti e Dante, ma poi ci capiremo MARCO LODOLI Immagino l'appello alla prima ora di scuola. Il maestro o la professoressa aprono il registro e controllano le presenze: "...

10/09/2004
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

Una sfida tra Totti e Dante, ma poi ci capiremo

MARCO LODOLI

Immagino l'appello alla prima ora di scuola. Il maestro o la professoressa aprono il registro e controllano le presenze: "Afiz Mohammed, Baggi Giorgio, Dimitrescu Stepan, Gagliardi Maria, Gonzales Miguel, Jijou Zhan...". In classe ormai c'è il mondo intero, bambini e ragazzi precipitati in un'aula malmessa da ogni parte del mondo, spaesati come piante esotiche su un terrazzino. I dati parlano chiaro: nel 1993 gli studenti extracomunitari erano più o meno trentamila, oggi sono quasi trecentomila. Certo, in Francia o in Inghilterra sono molti di più, ma provengono quasi tutti dalle ex-colonie, e dunque conoscono la lingua, sanno da dove sono partiti e dove sono arrivati, possono discutere tra loro, capirsi. In Italia la situazione è completamente diversa: i nuovi studenti provengono da 191 nazioni diverse, sono sudamericani, asiatici, africani, europei dell'Est. Ognuno ha il suo idioma, le sue tradizioni, la sua nostalgia. E d'improvviso si trovano in un banco a Gallarate o a Latina a studiare le poesie di Dante e Cavalcanti, le imprese dei Mille, i quadri del Rinascimento fiorentino. Arrancano, boccheggiano, faticano anche a confrontarsi a ricreazione con la nostrana pizzetta. Democratici e corretti, gli insegnanti provano in ogni modo a farli inserire nella classe, a farli partecipare al meglio alle lezioni. Anche i ragazzi italiani sono generosi e ospitali, cercano di coinvolgere nei giochi e nelle chiacchiere quei coetanei giunti da ogni dove. Ma per ora non è facile, ve l'assicuro. I rumeni, che stanno aumentando rapidamente, sono i più pronti a capire come funziona la scuola italiana, i più disinvolti nello stabilire nuove amicizie. Dopo sei mesi ascoltano Tiziano Ferro e Cremonini, seguono con passione il nostro campionato di calcio, vestono copie taroccate di Dolce e Gabbana, si fanno valere nelle interrogazioni. Il nostro paese gli piace da morire e non vorrebbero mai tornare indietro. Hanno una gran voglia di far parte della nostra società, anche nei suoi aspetti più consumistici e deteriori. I cinesi, invece, hanno un'obbedienza confuciana: sono educati, discreti, silenziosissimi, ma si capisce che non hanno alcuna propensione a mescolarsi con gli altri. Il loro riferimento resta la loro comunità, non ci provano nemmeno a diventare italiani. Rispettano le leggi, le campanelle, i divieti, ma non condividono quasi nulla. Insomma, ogni gruppo ha il suo stile e il suo approccio. Tutti insieme pongono un problema che la scuola deve affrontare, anche se la soluzione non è a portata di mano. La nostra cultura sembra non avere la forza necessaria per amalgamare in sé tutte le differenze. Il rischio è che sia solo il Grande Mercato a creare una base e un futuro: la pubblicità, la televisione, i soldi, la moda hanno ormai un linguaggio violentemente universale, che può tritare ogni alterità, farla diventare un'unica sabbiolina da impastare facilmente. Temo che non sarà la Divina Commedia o il Decameron o un affresco di Giotto - del resto ormai incomprensibili alla maggior parte degli studenti italiani - a creare una comunanza, la stessa civiltà della bellezza e dell'intelligenza. E' una strada troppo lunga e ardua, una lingua arcana: inevitabilmente arriveranno prima la De Filippi e Prada, Totti e Gigi D'Alessio, Mtv e la Gs. Sarà il finto benessere, se ancora ci sarà, a stabilire le piazze dove incontrarsi. Il compito degli insegnanti è durissimo. Li vedo uscire dalle classi a testa bassa. La nostra tradizione culturale pare sfiatata, prova ad alzare la voce, a rendersi interessante, ma le parole non arrivano. Il mondo cambia in fretta, e ormai siamo tutti un po' stranieri in questa terra. Alla fine ci capiremo, ne sono sicuro, il prima e il poi, il qui e l'altrove troveranno i loro ponti: ma per ora sono solo pietre da dover mettere insieme.