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Retescuole: La dittatura dei numeri

Pino Patroncini

03/09/2008
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Retescuole

LA DITTATURA DEI NUMERI di Pino Patroncini

E’ un salto indietro di 31 anni la Restaurazione, nella scuola primaria e secondaria di primo grado, dei voti numerici in tutte le discipline ( anche nell’insegnamento della religione, che per prima, da tempo immemorabile, ben prima della 517/77 si esprimeva in giudizi?), che ha come corollario quella del voto in condotta, con tanto di bocciatura col 5 (manca solo il rinvio a settembre con il 7, ma solo perché gli esami di settembre non sono ancora propriamente tali).
E’ anche un colpo di mano: il disegno di legge presentato dalla stessa Gelmini il 1° agosto scorso non prevedeva questa misura anzi precisava che nel primo ciclo la valutazione del comportamento fosse “espressa nella forma di giudizio” (art. 2). Dunque oltretutto il Ministro si autosmentisce da un giorno all’altro.
Indubbiamente il numero ha il pregio della chiarezza: il 5 è 5 e il 6 è 6. Questo spiega il favore dell’opinione pubblica, così come la registrano alcuni quotidiani. Oltre, evidentemente all’idea che una scuola che dice chiaramente “tu sei insufficiente” mettendo di fronte ad un fatto compiuto restaura la buona vecchia “serietà”, che si identificava nella selezione, la quale a sua volta si identificava con la sezione sociale, di classe, come si diceva una volta.
Ma il punto sta proprio lì: esiste in educazione il fatto compiuto? Oppure l’individuazione delle insufficienze è solo il punto di partenza per continuare un lavoro di preparazione?
Ma anche a voler prescindere dalle considerazioni più strettamente pedagogiche, la restaurazione dopo 31 anni delle valutazioni numeriche, non tiene conto di come si è evoluta la scuola primaria in questi anni, non tiene conto che dall’85 (ma potremmo dire dalle premesse ai nuovi programmi del 1982) un modello di scuola di scuola diversa è stata varata per la scuola primaria: un modello costruito sulla discorsività non sulla sanzione. L’attacco è dunque a quel modello.
E non basta. La scuola in questi anni è cresciuta. Ce lo diciamo tutti i giorni, soprattutto quando guardiamo i dati relativi alla presenza degli alunni immigrati. Ce lo dicono le strutture ufficiali (Istat in testa). Chi ci governa se ne fa persino vanto, anche quando è di destra e fomenta il razzismo.
Prendiamo allora un dato: gli alunni diversamente abili. Nel 1977 l’operazione integrazione era agli inizi (ed anche allora le polemiche non mancavano!). Oggi ce ne è praticamente uno in ogni classe. Ma quando in una scuola elementare si usavano i giudizi, spiegare che pur in presenza di due prove molto diverse nella loro fattura il criterio di sufficienza era relativo non solo alla prova in sé ma anche all’alunno che la svolgeva, aveva un senso, anche per bambini dai sei ai dieci anni (ognuno col suo passo!). Certo per un adulto abituato a ragionare con schemi astratti questo si può fare anche con i 5 ed i 6. Ma per un bambino che cosa è più facile da capire? Comunque la si rigiri, il 5 è 5 e il 6 é 6. Che cosa gli racconteremo? Che uno è in euro e l’altro è in lire, visto che il dio denaro la fa da padrone ormai ovunque? Oppure, con logica compassionevole, racconteremo che a “lui” abbiamo fatto una elemosina di punti? Bella educazione alla cittadinanza, proclamata nelle leggi, smentita nei fatti!
E sappiamo che gli alunni diversamente abili sono solo la punta dell’iceberg. Sotto ci sono quelli disagiati, gli immigrati e chi più ne ha più ne metta. I problemi della loro istruzione sono solo una metafora ben visibile del problema dell’educazione di tutti.
In condotta poi la cosa è drammatica. Per inciso: ad una attenta lettura del testo è discutibile che, come pensano i più, la cosa si applichi solo alle medie ( ciò che si applica solo alle medie è lo Statuto degli studenti citato nel decreto, non il voto di condotta). Dunque, che voto dare all’alunno caratteriale che rovescia banchi e sedie? 5 in condotta e bocciarlo, liberando così la classe dall’impiccio per lasciarlo in un’altra classe? In fondo è quello che molti genitori vorrebbero, anche se non lo possono dire apertamente. Ma in tempi di demagogia tutto fa brodo, anche i bambini!
Oppure dargli un 9 come agli altri, per poi sentirsi dire dal bambino “bravo”: “perché io che chiacchiero solo un po’ ho lo stesso voto di quello che rovescia banche e sedie”? Magari si finirà col costruire una gerarchia: 9 e 10 per i “normali”, dall’8 in giù per gli “anormali”.
Si perché il fine è questo: basta col relativismo! E il numero è norma e dunque torneranno “normali” e “anormali”, anzi no, “subnormali”.
Ma si può avere a che fare con un ministro dell’istruzione che non sa pensare a queste conseguenze?