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Retescuole: Scuola, incoerenza e schizofrenia del Minisero

In sostanza da una parte si dice agli insegnanti: dovete essere individualisti, sommativi, disciplinaristi, contenutisti, mentre da un’altra parte si dice: dovete finirla di essere individualisti, sommativi, disciplinaristi, contenutisti

04/12/2007
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Retescuole

di Pino Patroncini

Nel programma dell’Unione riguardo alla scuola c’era un punto decisivo e impegnativo: quello relativo all’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Questo obiettivo avrebbe richiesto alcune misure particolari, che, come sappiamo, lo stesso governo dell’Unione non ha voluto attivare: eliminare qualsiasi ipotesi di doppio canale e prevedere, come richiesto da più parti e come in fondo già avveniva in esperienze largamente praticate, un biennio unitario che garantisse uno zoccolo comune di sapere a tutti sedicenni. La prima cosa non è stata fatta lasciando aperto un “canalino” gestito sostanzialmente dalla formazione professionale convenzionata. Al posto della seconda si è preferito istituire, per decreto, la cosiddetta “equivalenza formativa”, fondata non su saperi comuni ma su competenze comuni.
L’elaborazione in merito a queste competenze è stata desunta da altre elaborazioni già fatte dagli uffici studi della Unione Europea. Non si vuole qui entrare nel merito di tutta questa operazione, anche se è un merito assai discutibile.
Va sottolineato qui piuttosto come su queste cose non ci sia nella categoria dei docenti della scuola secondaria superiore un humus spontaneamente favorevole. La “logica delle competenze” comporta un lavoro che intrecci conoscenze e abilità, ma la gran parte dei docenti della secondaria superiore è piuttosto incline a valorizzare solo le conoscenze e i contenuti disciplinari. Le competenze non si insegnano, si costruiscono con un’attività del discente, ma i docenti sono prevalentemente inclini a logiche “trasmissive”. Le competenze richiedono una trasversalità tra i diversi saperi, ma i docenti, soprattutto nella secondaria, sono prevalentemente individualistii: insegnano le loro materie per compartimenti stagni. Costruire delle competenze richiede metodo e strategia, ma i docenti sono piuttosto inclini a valutare in termini solo sommativi le conoscenze dei ragazzi.
Insomma introdurre queste nuove logiche richiederà una certa pazienza. Ed infatti il Ministero parla per ora di una sperimentazione biennale. Ma la cosa richiede anche un certo impegno di formazione e discussione con gli insegnanti, non sempre facile, tanto più in assenza di elementi di appoggio strutturale come poteva esserlo, ad esempio, proprio un biennio unitario.
Ma almeno su ciò il Ministero avrebbe potuto stringere i tempi. Al contrario a due mesi e mezzo dall’inizio dell’anno scolastico, a oltre sei mesi dall’elaborazione dei documenti ministeriali sulle competenze e del regolamento sull’innalzamento dell’obbligo, a quasi un anno dalla legge che ha introdotto formalmente l’obbligo a 16 anni, a oltre un anno dal cambio di governo e, potremmo dire, a quasi due anni dall’elaborazione del programma dell’Unione, gli insegnanti non hanno ricevuto alcuna indicazione.
In altre parole quello che doveva essere il punto più caratterizzante dell’azione di governo nella scuola, di rinuncia in rinuncia (rinuncia ad abrogare la legge Moratti, rinuncia a sopprimere del tutto il doppio canale, rinuncia al biennio unitario), ma anche di rinvio in rinvio, è diventato di fatto un punto di secondaria importanza. Si provi a dimostrare il contrario!
Nel frattempo il governo cosa ha fatto? Non si può dire che il Ministero sia stato con le mani in mano. Si è occupato di bullismo, di insegnanti fannulloni, di sanzioni disciplinari sia per gli alunni che per gli insegnanti. Si è occupato anche di cose più attinenti come la riduzione dell’orario negli istituti professionali ( sperando di ricavarne anche una riduzione di personale, naturalmente), di nuove indicazioni (i programmi, per intenderci) per le scuole elementari e medie, di esami di stato ecc.
Tra le cose di cui si è occupato c’è stata anche la cosiddetta riduzione del debito formativo, che nonostante la parola “debito” non riguarda le casse dello stato, quanto piuttosto gli alunni insufficienti in una o più materie, i quali, da quando nel 1995 sono stati aboliti gli esami di riparazione, finirebbero per il 28% promossi pur non riuscendo a rimediare mai. Di qui, in coerenza col clima da tolleranza zero che ha improvvisamente cominciato a spirare nelle nostre città, l’idea di reintrodurre gli esami di riparazione, anche se in forma surrettizia. Unico aiuto per lo studente saranno dei corsi di recupero di almeno 15 ore, anche nel periodo estivo.
E’ inutile qui farla lunga sulle contraddizioni del marchingegno adottato. Sta di fatto che, alla lettera delle disposizioni diramate, se un alunno è insufficiente a giugno anche in una sola materia o rimedia entro agosto o è bocciato.
La cosa naturalmente non va tanto giù agli studenti che hanno anche fatto affollate manifestazioni di protesta.
Ma qui ci interessa il messaggio che è stato inviato ai docenti, abbastanza esplicitamente, attraverso un decreto e un’ordinanza. In sostanza questo messaggio dice agli insegnanti: ogni insufficienza in ogni disciplina (si arriva fino 14 materie in certi indirizzi) deve essere rimediata entro la fine dell’anno, se no l’alunno è respinto. E la decisione spetta al singolo docente non più al consiglio di classe: quest’ultimo di fronte a una insufficienza dovrebbe solo chiedersi se il ragazzo è in grado di recuperare durante l’estate, e quindi rimandarlo, oppure no, e allora bocciarlo subito.
In sostanza da una parte si dice agli insegnanti: dovete essere individualisti, sommativi, disciplinaristi, contenutisti, mentre da un’altra parte si dice: dovete finirla di essere individualisti, sommativi, disciplinaristi, contenutisti. Solo che mentre per la prima indicazione si danno istruzioni precise e stringenti, anche violando la norma fondamentale (il Testo Unico continua a prevedere infatti che il voto nello scrutinio sia sempre collegiale e non individuale), ma incontrando un humus sicuramente più favorevole tra gli insegnanti, per la seconda si tarda a dare le indicazioni, a costruire le elaborazioni che vanno in tutt’altra direzione e in più si agisce su elementi assai più vaghi e meno familiari alla cultura dei docenti.
Naturalmente non mancheranno gli insegnanti coscienziosi che rifiuteranno di soggiacere a indicazioni neppure del tutto lecite e che rivendicheranno la collegialità sancita dalle norme primarie. E per il resto ci saranno alcune contraddizioni pratiche o gravide di pesanti conseguenze che daranno altre pieghe alla cosa: il 50% dei docenti è in estate impegnato negli esami di stato, altri non sono disposti a rinunciare ai due mesi di vacanza, e comunque nessuno è disposto a rinunciare al mese di ferie: è per questo che per tenere i corsi estivi si prevede anche il ricorso ad insegnanti esterni, pubblici (supplenti) o persino “privati” (singoli, cooperative di docenti, enti no profit ecc.). Così come ci sono insegnanti coscienziosi che anche senza le indicazioni del Ministero già si pongono il problema di che cosa significhi innalzare l’obbligo scolastico.
Ma sorge spontanea una domanda: valeva la pena di cambiare governo per assistere a tanta schizofrenia?