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Ricerca per ricchi. Lavoro vietato per i dottorandi

L’ateneo di Bologna applica un decreto del ministro Profumo sull’incompatibilità fra attività post laurea e contratti lavorativi di ogni genere. Così fa carriera solo chi ha i soldi di famiglia

02/03/2014
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l'Unità

Adriana Comaschi

O il dottorato o la vita. Ovvero la ricerca da una parte e la possibilità di mantenersi dall’altra. Questo è il dilemma, secco e senza alternative, davanti a cui potrebbero trovarsi migliaia di dottarandi italiani e che è già realtà per i vincitori dei bandi dell’ateneo di Bologna. Compresi quelli che hanno un posto di dottorato ma non la borsa di studio: anche per loro niente più possibilità di lavorare mentre fanno ricerca, che si tratti di impieghi part time o a partita Iva. L’Alma Mater però obietta di non avere scelta, ha solo recepito le novità del decreto 45 emanato dall’allora ministro Francesco Profumo. Un testo che, se non emendato, rischia di fare dell’istruzione post laurea una faccenda di censo, corsi da pochi intimi per chi abbia una famiglia alle spalle disposta e soprattutto in grado di sostenerli economicamente per i tre anni di dottorato. Quello che persino il prorettore alla ricerca dell’ateneo bolognese Dario Braga bolla come un «pateracchio all’italiana» esplode in sordina. A febbraio 2013 il Dm 45 all’articolo 12 stabilisce che «l’ammissione al dottorato comportaun impegno esclusivo e a tempo pieno», e basta l’aggettivo «esclusivo» a ribaltare la vita di chi pur avendo scelto la strada della ricerca deve fare quadrare i conti a fine mese. In pratica, si stabilisce l’incompatibilità tra attività di dottorato (che pure non hanno orario fisso) e contratti lavorativi di qualsiasi genere: quasi fosse una vocazione spirituale, chi firma per un dottorato rinuncia a ogni altro impegno. Una svolta che cozza contro la realtà: facile immaginare che sia impossibile mantenersi senza borsa di studio e senza un lavoro “parallelo”, ma anche chi incassa dall’ateneo il contributo di 1095 euro al mese per i più alti in graduatoria già oggi è costretto ad arrotondare, i medici ad esempio fanno pratica con guardie notturne ed attività clinica. Il decreto in questione, ricorda l’ateneo bolognese, doveva però essere recepito dalle università entro 45 giorni. L’Alma Mater lo fa modificando il proprio Regolamento il 7 luglio dello scorso anno. Le conseguenze però non si notano subito. La novità interessa infatti i bandi di dottorato emanati dopo quella data, dunque quelli della seconda parte del 29° ciclo i cui vincitori tra le 350 e le 400 persone, di cui la metà senza borsa cominciano la propria attività più o meno a gennaio 2014. È allora di recente che i singoli Dipartimenti bolognesi cominciano a contattare i diretti interessati facendo loro presente un aut aut, che quasi nessuno aveva considerato.

IL BIVIO DI ALBERTO Come succede ad Alberto, ingegnere trentenne e dottorando senza borsa. «Un lavoro ce l’ho, ma volevo fare ricerca per interesse e per acquisire nuove competenze. Spendo almeno 800 euro al mese, senza lussi, ne guadagno 1200 racconta -: come potrei rinunciare allo stipendio, visto che l’università non mi dà nulla? È fuori discussione, di questi tempi poi. Ma se ora mi costringono a lasciare il dottorato avrò pagato 600 euro di tasse annuali per niente. Questa è una vera assurdità burocratica, non si sono resti conto di cosa avrebbe provocato». La Flc Cgil di Bologna raccoglie e rilancia l’allarme dei ricercatori, messi con le spalle al muro. È chiaro che i più penalizzati saranno i titolari di dottorato senza borsa, «così di fatto i meno abbienti per quanto meritevoli verranno tagliati fuori dai bandi accusa la segretaria Francesca Ruocco -, l’Alma Mater è stata troppo solerte e rigida nell’interpretazione del Dm 45, chiediamo che l’applicazione di questo criterio sia sospesa in attesa di un intervento del Miur». Braga non ci sta però a giocare la parte più sgradita della commedia.

 LA DIFESA DELL’ATENEO «Non è questione di solerzia o di interpretazione, l’Alma Mater ha l’abitudine di rispettare le leggi. Se qualche ateneo ha tardato a recepire il Dm 45 questo non cancella i problemi ribatte dunque il prorettore alla Ricerca -, quel testo apre la strada a fior di ricorsi da parte di chi magari si è visto scavalcare nella graduatoria del bando da un ricercatore che poi risultasse titolare di un contratto di lavoro. E comunque avevo segnalato all’ex ministro Carrozza che con il Dm 45 si varava un’operazione di censo». Braga anzi rincara la dose, «dò ragione a questi ricercatori, credo che si sia varato un testo senza considerarne bene le conseguenze, la questione è anzitutto politica e si può riassumere nell’idea che il dottorato debba essere pagato da mamma e papà». Un calcio insomma al modello di università aperta a tutti, che piaccia o meno dovrebbe essere quella proposta oggi in Italia. E un autogol clamoroso, per chi davvero voglia puntare sulla ricerca come fattore di crescita anche economica del sistema Paese. L’Adi (Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani) sollecita il rettore Ivano Dionigi a intervenire sul Regolamento «sostituendo ai vincoli formali dei vincoli sostanziali: si valutino i dottorandi, senza e con borsa, in base alla produzione scientifica». L’Alma Mater per ora non torna indietro e rimanda la palla al governo, «il neo ministro Stefania Giannini come ex rettore non dovrebbe faticare a cogliere il problema nota Braga -, la Commissione di studio sul Dottorato di ricerca nella sua relazione boccia già l’articolo 12 del Dm 45».