Ricercatori, la mobilità aiuta
La riforma del reclutamento approvata dalla commissione cultura della Camera
Emanuela Micucci
Laurea, dottorato, assegno di ricerca e cattedra tutto conseguito nello stesso ateneo? Non sarà più necessariamente così. Con la riforma del reclutamento dei dottorati di ricerca, approvata definitivamente il 26 maggio dalla Commissione Cultura della Camera, la carriera accademica non si svolgerà per tutta la vita nello stesso ateneo. Ciascuna università, infatti, nell'ambito della programmazione triennale, dovrà destinare almeno un terzo dei posti a chi abbia svolto dottorati o attività di ricerca presso atenei diversi da quelli che emanano i bando, in Italia o all'estero, per almeno 36 mesi. Un aspetto della mobilità che secondo la ministra dell'università e ricerca Maria Cristina Messa, «darà una scossa propulsiva al sistema». Il provvedimento, unendo 6 diverse proposte di legge, prova a semplificare tutte le figure pre-docenza.
Rimuovendo la distinzione, prevista nel 2010 dalla riforma Gelmini, tra ricercatore di tipo a, cioè a tempo determinato per 3 anni rinnovabile per altri 2, e di ricercatore di tipo b, cioè triennale con la possibilità di diventare associato una volta ottenuta l'abilitazione scientifica nazionale.
Di fatto, ci sarà un unico ricercatore in regime di tenure track, per massimo 7 anni, che potrà diventare associato dal quarto anno. Inoltre, l'accesso al tenure track avverrà entro 6 anni dalla fine del dottorato.
È stata abrogata dalla Commissione Cultura la norma, di ispirazione ministeriale, che escludeva dai concorsi per ricercatore chi ha il dottorato da più di 6 anni, sulla quale si sono sollevati anche dubbi di incostituzionalità. Tuttavia, il sottosegretario all'istruzione Sasso (Lega), intervenendo in Commissione, ha fatto presente la volontà della ministra di introdurla comunque in un successivo provvedimento.
Inoltre, gli attuali 12 anni di precariato negli atenei, attualmente previsti, sono di fatto ridotti di un anno; infatti, sommando 4 anni da assegnista ai 7 da ricercatore si arriva a 11 anni come tetto massimo al precariato post-doc. «La cosiddetta fuga dei cervelli in Italia ha delle cause specifiche: un sistema che valorizza poco il merito e con scarse tutele per i ricercatori è sicuramente tra queste», spiega Alessandro Melicchio (M5s), il relatore della proposta di legge. La riforma, aggiunge, «le aumenta, anche velocizzando l'iter per divenire professore associato e stabilendo regole univoche e trasparenti per i concorsi su tutto il territorio nazionale».
Nella pubblicazione dei bandi, nella formazione delle commissioni giudicatrici e nella comunicazione delle procedure di selezione, infatti, le università saranno tenute ad osservare norme molto più stringenti in tema di trasparenza. I dottorati verranno valorizzati nei concorsi pubblici.
La figura professionale del ricercatore verrà uniformata con il requisito unico, dottorato o specializzazione medica, e durata massima di 4 anni, contro gli attuali 12.
Anche le borse di ricerca post laurea, inoltre, sono riviste: adesso potranno avere una durata di 6-12 mesi, prorogabili fino a 36, ma senza accesso ai ruoli.
«All'alba del Recovery Plan, che destina ingenti risorse alla ricerca, si tratta di cambiamenti fondamentali, in grado finalmente di avvicinare l'università italiana agli standard europei e di aumentare l'efficienza complessiva del sistema italiano di ricerca», sottolinea la presidente della Commissione Cultura Vittoria Casa (M5S).
«Il provvedimento è un grande passo in avanti sul percorso della realizzazione di un quadro complessivo che dovrà essere completato, rinforzando, in particolare, il sistema di valutazione per renderlo più moderno», commenta la ministra Messa.