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Riformista-Cari colleghi, se la riforma è impossibile allora riproviamoci con l'autoriforma

UNIVERSITÀ. AL SEMINARIO DEI "DODICI". DI NICOLA ROSSI E GIANNI TONIOLO Cari colleghi, se la riforma è impossibile allora riproviamoci con l'autoriforma Si è svolto ieri a Roma, il semi...

06/07/2005
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Il Riformista

UNIVERSITÀ. AL SEMINARIO DEI "DODICI". DI NICOLA ROSSI E GIANNI TONIOLO
Cari colleghi, se la riforma è impossibile allora riproviamoci con l'autoriforma

Si è svolto ieri a Roma, il seminario "L'Università che vorremmo", organizzato dai dodici firmatari dell'appello per "Ridare voce all'Università", lanciato tre mesi fa sul Riformista e sul sito della Fondazione Magna Carta (www.magna-carta.it). In quella sede Nicola Rossi ha rilanciato la proposta di "autoriforma" delle istituzioni universitarie.

Forse è il caso di accettare le cose per quelle che sono. Almeno per il momento una riforma logicamente coerente e realmente incisiva dell'università non è a portata di mano. Ci hanno provato la sinistra prima e la destra dopo. Ci hanno messo le mani personaggi di indiscussa buona fede e di provata capacità. In tutti i casi la forza delle corporazioni e degli interessi particolari e la logica del passato hanno finito per avere la meglio. Lasciamo quindi che l'università, per quella che è oggi, segua la sua strada. E proviamo ad aprire una strada diversa: quella dell'autoriforma.
Proviamo a immaginare che, entro una data prefissata, le università (pubbliche o private) che, nel rispetto delle loro attuali procedure statutarie, lo decidessero possano trasformarsi in Fondazioni universitarie e godere della più completa autonomia finanziaria, gestionale, didattica e scientifica. Esse, e solo esse, sarebbero libere di assumere il personale docente e non docente con contratti di diritto privato sottoposti solo al vincolo della legge, di organizzare l'intera struttura della didattica (dai corsi di laurea di primo livello ai dottorati di ricerca), di stabilire le norme per l'ammissione degli studenti e di fissare le tasse di frequenza, di provvedere in piena autonomia ai servizi connessi (dalle mense agli alloggi per gli studenti o per i docenti), di acquisire risorse da destinare esclusivamente alle attività statutarie della Fondazione.
Contestualmente, nel bilancio dello Stato verrebbe creato un "Fondo per le Università autonome" costituito dai trasferimenti già in essere verso le università che avessero optato per la trasformazione e aumentato di una significativa percentuale. Il fondo verrebbe ripartito in due distinti capitoli. Il capitolo della ricerca verrebbe allocato inizialmente secondo le quote di allocazione preesistenti e successivamente sulla base di una rigorosa valutazione dei risultati scientifici a livello di singolo Dipartimento, effettuata, almeno inizialmente, anche con l'ausilio di docenti stranieri. Il capitolo della didattica verrebbe, invece, interamente utilizzato per il finanziamento di un massiccio programma di borse di studio (inclusive del pagamento delle tasse di frequenza) riservato agli studenti capaci e meritevoli e privi di mezzi che vogliano iscriversi alle università che avessero optato per la trasformazione in Fondazioni autonome.
Al personale docente e non docente in servizio presso l'università che avesse optato per la trasformazione e che preferisse conservare lo status precedente verrebbe data la possibilità di trasferirsi - entro un congruo periodo di tempo - in altra università che non avesse optato per la trasformazione o, se del caso, in altro impiego pubblico. Le università che non optassero per la trasformazione permarrebbero nella loro situazione - giuridica, finanziaria, gestionale, didattica e scientifica - attuale.
Come si vede, nessuno sarebbe costretto a essere "autonomo" ma sarebbero le singole università a deciderlo. Gli oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato - che sarebbe qualitativamente più che quantitativamente modificato - sarebbero con ogni probabilità molto modesti. Qualora alcune coraggiose università decidessero di spingersi sulla via della vera e totale autonomia, in un tempo relativamente breve si introdurrebbero germi di concorrenza tra gli atenei, offrendo - tra l'altro - al paese una semplice possibilità di valutare l'entità e la distribuzione degli oneri impliciti nella situazione attuale. Inutile dire che sarebbe necessario studiare disposizioni transitorie sia per quanto riguarda il personale che non optasse per il nuovo regime privatistico, sia per le diverse poste del bilancio sia, infine, per il passaggio ai nuovi atenei-fondazione dei compiti relativi al diritto allo studio (in particolare mense e alloggi) oggi facenti capo alle Regioni. E' appena il caso di aggiungere che l'abolizione del cosiddetto valore legale del titolo di studio costituirebbe una precondizione di questa riforma. Visto che Maometto sembra piuttosto riluttante all'idea di andare alla montagna, chissà che prima o poi non accada il contrario.