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Riformista: Caro Giavazzi, con le tue proposte andrebbe in rovina la scienza italiana

UNIVERSITÀ 2. SE PAGANO LE FAMIGLIE DI ALESSANDRO FIGÀ TALAMANCA

16/11/2006
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Il Riformista

Sono quattro, secondo un articolo del professor Francesco Giavazzi, apparso di recente sul Corriere della sera, i principi sbagliati sui quali si basa l'istruzione universitaria «nella maggior parte dei paesi europei». Non c'è spazio in un articolo destinato a un quotidiano per rispondere, con argomentazioni serie, a quattro affermazioni retoriche. Mi accontenterò quindi di parlare solo del primo «principio sbagliato» indicato da Giavazzi, che è quello secondo cui l'istruzione universitaria «non è pagata dalle famiglie, ma dai contribuenti».
Osservo subito, visto che Giavazzi parla di «paesi europei», che questo «principio» non vale solo in Europa. Esso si applica a tutte le grandi università di Stato americane, nelle quali i cittadini residenti possono ottenere un'ottima istruzione universitaria a una frazione del suo costo. Un esempio è l'Università di California a Berkeley, che è finanziata solo per il 13% dai contributi degli studenti, mentre i contribuenti pagano almeno il 60% dei costi. Non si tratta di un caso isolato. Complessivamente le università pubbliche e private degli Stati Uniti sono finanziate dalle tasse di iscrizione per il 28% dei loro costi. Questa percentuale si riduce al 20% se si tiene conto che molte tasse universitarie sono rimborsate agli studenti da borse di studio offerte dal governo federale o dalle stesse università. Non ho calcolato in queste cifre i prestiti agevolati agli studenti che pure costano in termini di differenze negli interessi e specialmente in termini di mancate restituzioni (i dati provengono da uno studio del sistema americano, molto accurato, anche se un po' datato, ad opera di Lorenzo Marrucci).
Il paese in cui i costi dell'istruzione universitaria sono pagati dalle famiglie e non dai contribuenti, non esiste, se non nell'immaginazione di Giavazzi. Forse solo la rivoluzione culturale cinese tentò tra gli anni Sessanta e i Settanta del secolo scorso, una simile trasformazione del sistema universitario, con conseguenze catastrofiche per la scienza cinese, cui il governo cinese sta, da diversi anni, faticosamente rimediando.
Possiamo però inseguire questa visione, cercando di prevedere cosa succederebbe in Italia se i costi della istruzione universitaria fossero pagati dalle famiglie e non dai contribuenti. E' evidente che, con qualche eccezione, gli studenti e le loro famiglie si orienterebbero per i corsi di studio meno costosi e ritenuti più redditizi. Si aggraverebbe la fuga dalle facoltà scientifiche e tecniche, risulterebbe quasi impossibile avviare gli studenti agli studi universitari per la formazione degli insegnanti, si moltiplicherebbero invece, come già avviene per i master, le facoltà e i corsi di laurea che promettono, anche con pubblicità ingannevole, lauti guadagni, o che pretendono di formare operatori finanziari e manager.
Il costo della formazione di uno scienziato o un tecnico di alto livello, non potrà mai essere compensato dai suoi guadagni, nel mercato del lavoro, in nessun paese del mondo. La rinuncia a finanziare con denaro pubblico la formazione degli scienziati equivale quindi alla rinuncia a promuovere, nel nostro paese, la scienza. La proposta di Giavazzi è l'equivalente del programma della rivoluzione culturale cinese che mandò a lavorare nei campi gli scienziati. Posizioni astratte e massimaliste come quella del professor Giavazzi ostacolano ogni seria proposta in merito a una distribuzione più razionale del finanziamento dell'università che dovrebbe consentire anche un aumento diversificato delle contribuzioni studentesche.
Bisognerebbe, ad esempio, non solo esentare dalle tasse universitarie gli studi per la formazione degli insegnanti, ma anche finanziare le spese di vitto e alloggio degli studenti con borse di studio. Anche la formazione degli scienziati e dei tecnici di alto livello dovrebbe essere finanziata con borse di studio, almeno a partire dalla laurea specialistica, come succede negli Stati Uniti, dove i graduate student nelle scienze e nell'ingegneria sono, in gran parte, finanziati con borse di studio ovvero attraverso la collaborazione all'insegnamento.
Si potrebbe, per contro, cominciare a discutere concretamente la proposta di far pagare per intero agli studenti i costi dell'istruzione universitaria che non ha alcuna ricaduta sociale e che è solo mirata a fornire competenze utili ad aumentare il proprio reddito. Questo già avviene per i master e potrebbe estendersi a molte lauree di primo o secondo livello nelle facoltà di economia. Resterebbe solo il problema di difendere gli studenti dalla pubblicità ingannevole delle università, un problema che comunque si dovrebbe già affrontare per i master.


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