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Riformista: Ha ragione Draghi:valorizziamo i giovani con diplomi competitivi

Il governatore della Banca d'Italia nelle considerazioni di quest'anno ha riservato ai temi dell'istruzione e della ricerca una attenzione tanto più inconsueta in quanto non formale o retorica

07/07/2006
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Il Riformista

Il governatore della Banca d'Italia nelle considerazioni di quest'anno ha riservato ai temi dell'istruzione e della ricerca una attenzione tanto più inconsueta in quanto non formale o retorica. Non hanno mancato di riscontrarlo molti commentatori e, come spesso accade in casi simili, si è rapidamente stabilita una solida unanimità che ha apprezzato e condiviso le osservazioni del governatore, salvo lasciarle cadere anche soltanto pochi giorni dopo non appena i riflettori mediatici si sono spenti. Ciò ha riguardato soprattutto quei commenti che hanno colto solo l'appello a investire nella valorizzazione del capitale umano (invito che a furia di essere ripetuto in modo generico è diventato rituale e di maniera) e quelli che non hanno mancato di rilanciare l'esigenza di prestare attenzione al merito e all'eccellenza, finora trascurati e quasi travolti dalle inerzie e dai ritardi del nostro sistema di istruzione. Quello che mi sembra sia stato trascurato è invece l'esame del carattere strutturale delle osservazioni del governatore quando ricorda che «è grave lo spreco causato dal basso impiego del segmento più vitale, più promettente della popolazione: tra i venti e i trent'anni il tasso di occupazione italiano è inferiore di dieci punti rispetto alla media dell'Unione europea» e che «la gravità del ritardo ci impone di guardare all'esperienza di altri paesi europei, quali Svezia, Finlandia, Regno Unito, che hanno sperimentato strumenti per migliorare il rendimento del sistema di istruzione e di ricerca, rafforzando la competizione fra scuole e fra università».
Dannata liceizzazione.Il problema quindi è quello di rafforzare la qualità e la quantità dei fattori della produzione (a partire dagli occupati) favorendo l'impiego di giovani qualificati che oggi restano fuori dal mercato del lavoro fino a un decennio in più dei loro coetanei europei. Quale è l'origine di questo fenomeno? La risposta non può più ammettere falsi pudori: in questi anni si è consentito se non addirittura incoraggiato un degrado degli studi secondari e superiori che ne ha impoverito la qualità e le molte specificità in nome di una liceizzazione spacciata come promozione sociale quando invece significava l'annullamento dell'unico strumento di emancipazione che la scuola può offrire: la conoscenza dei sistemi complessi, premessa per il loro controllo. Nella produzione e nelle conseguenze sulla società. Per mandare a lavorare quei venti-trentenni che oggi non ci vanno e per mandarceli in posizione qualificata e non come forza subalterna e marginale occorre che il loro diploma abbia un contenuto professionale reale spendibile nel mercato del lavoro: ieri geometri e ragionieri dirigevano i cantieri e amministravano le società, i periti erano i quadri delle grandi imprese e, spesso, gli imprenditori delle piccole. Oggi non si può dire lo stesso.
Stare sul mercato.Se questo è vero forse la priorità nella discussione relativa alle prime misure necessarie per rilanciare l'efficacia dell'azione educativa e l'efficienza del sistema di istruzione e formazione nel suo complesso non sta tanto nel ribadire l'esigenza di favorire la competitività fra le scuole o di rilanciare l'urgenza di una valorizzazione del merito (cose sulle quali chi scrive, a scanso di equivoci, è da sempre d'accordo), ma piuttosto nella individuazione delle misure occorrenti per ottenere un “prodotto” che vada sul “mercato” in modo “competitivo”. Insomma diplomati e laureati che a venti o venticinque anni abbiano acquisito quelle conoscenze e quelle capacità professionali che li motivano al punto di scegliere di misurarsi nell'attività lavorativa. La scuola come è fatta adesso non riesce a raggiungere questo risultato. E' questo che occorre cambiare.