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Riformista: Nel sistema educativo l'innovazione nascesoltanto dal confronto

Occorre che ognuno faccia la sua parte in uno scambio costante fra un governo che deve dare indirizzi e strumenti e mettere rapidamente a disposizione di tutti i risultati più significativi, regioni che devono star bene attente a non ostacolare quanto matura fra enti locali e scuole, e queste ultime che devono ripensarsi come laboratori collegati fra loro e non più come esecutori delle indicazioni del «superiore ministero»

26/08/2006
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Il Riformista

scolastica
Questo avvio di legislatura, per quanto riguarda la scuola e non solo, si distingue dal precedente anzitutto sul piano dello stile: niente abrogazioni per decreto, niente spoil system selvaggio, niente discontinuità ostentata. I mutamenti di rotta verranno ma senza improvvisazione e non sul terreno dello scontro aprioristico di carattere ideologico. Il secondo aspetto che segna positivamente questo inizio di legislatura è la volontà dichiarata di tornare alle scuole per ascoltarle ma soprattutto per sollecitarle a utilizzare tutti gli strumenti che l'autonomia ha messo loro a disposizione. Si tratta di un segno di grande continuità con la politica riformatrice del passato, quella che ha costruito la scuola dell'infanzia che tutti ci invidiano e una delle migliori scuole elementari del mondo. Questa politica negli anni '80 e '90 ha mobilitato le migliori energie anche nella scuola secondaria e, fino alla sua brusca interruzione nel 2000, si è basata sull'assunto che nelle scuole fosse ormai maturata una capacità di proposta che andava riconosciuta. A questa capacità di proposta viene restituita la parola. Su cosa bisogna attendersi e sollecitare i contributi delle scuole? Anzitutto, credo, sul nodo essenziale della qualità delle competenze in uscita che gli allievi devono possedere.
Troppi segmenti.L'apprendimento segmentato per discipline condanna la maggioranza degli studenti a un sostanziale insuccesso. Scolastico prima e professionale poi. La novità di questi ultimi anni è che molti insegnanti (e dirigenti) cominciano a rendersene conto e a ricercare soluzioni che consentano di accantonare quelle caricature del sapere che sono i cosiddetti obiettivi specifici di apprendimento. Utili in realtà solo al proliferare di cattedre universitarie per baroni e apprendisti baroni nonché alle più tradizionali e paludate case editrici che non per caso contrastano l'innovazione educativa specie se tocca l'organizzazione dei processi di apprendimento. Raccogliere (e incoraggiare) questa ricerca potrà essere un carattere distintivo del nuovo governo: aprire alla ricerca sugli standard educativi, ribadire che i livelli essenziali delle prestazioni che il sistema educativo deve fornire altro non sono che il corrispettivo dei diritti di cui sono titolari studenti, docenti e famiglie, sancire il diritto-dovere alla diversità delle esperienze di insegnamento-apprendimento in nome (e in vista) di una qualità alta ma non uniforme (anzi, alta perché non uniforme) delle competenze da raggiungere nelle diverse articolazioni del sistema educativo.
La centralità del territorio.Ciò può avvenire però solo se questo grande cantiere verrà gestito nel territorio e con il contributo essenziale delle realtà istituzionali e sociali che nei territori sono presenti. Questo significa abbandonare l'idea che le norme contenute nella riforma del titolo V fossero da usare prima di tutto come strumento per resistere al centralismo del centrodestra dando vita a una (o più) legislazioni regionali “alternative”. L'autonomia, la sua costituzionalizzazione con il nuovo titolo V, le esperienze di gestione fra scuole e territorio fatte in questi anni soprattutto a livello provinciale, sono strumenti ed esperienze da utilizzare a partire dai bisogni che si individuano collegialmente in un territorio. Occorre che ognuno faccia la sua parte in uno scambio costante fra un governo che deve dare indirizzi e strumenti e mettere rapidamente a disposizione di tutti i risultati più significativi, regioni che devono star bene attente a non ostacolare quanto matura fra enti locali e scuole, e queste ultime che devono ripensarsi come laboratori collegati fra loro e non più come esecutori delle indicazioni del «superiore ministero». L'innovazione di cui tutti sentiamo il bisogno e l'urgenza passa dalla costruzione di questo equilibrio fra attori diversi. Equilibrio che sarà tanto più stabile quanto i portatori di certezze faranno un passo indietro e i costruttori di esperienze avranno spazi per confrontarle con quelle di altri.
Vittorio Campione