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Riformista: Serve una cultura universitaria del doppio livello di laurea

lauree triennali al fine di garantire un progresso dell’intera società in termini di educazione superiore; lauree specialistiche, caratterizzate da criteri di competizione e merito, per selezionare al meglio quadri dirigenti

24/08/2006
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Il Riformista

CLASSI DIRIGENTI. MEGLIO IL PRAGMATISMO DI ROOSEVELT DELL’UTOPIA DI JEFFERSON

DI CARLO CARBONI

L’idea di democrazia di Thomas Jefferson fu influenzata dalla rivoluzione francese ed era per molti aspetti utopica. Il terzo presidente statunitense - successore di Franklin - era del parere che obiettivo della giovane democrazia americana fosse l’elevamento di tutta la società. Di conseguenza, Jefferson elaborò un piano per rendere l’istruzione (compresa quella universitaria) accessibile a tutti i cittadini. Nel suo pensiero, la mobilità sociale avrebbe fatto il resto, inducendo un miglioramento anche delle classi dirigenti del Paese. Non a caso Noah Webster rilevò che nel periodo jeffersoniano - all’inizio dell’Ottocento - il livello medio di scolarizzazione e di diffusione della cultura era maggiore in America che nella home, l’Inghilterra. Oltre cento anni più tardi, dopo la Grande Crisi, F.D. Roosevelt, nettamente più realista del suo predecessore, riteneva indispensabile per la democrazia disporre di classi dirigenti adeguate in competenza e senso di responsabilità per elevare il tono dell’intera società. Entrambi i Presidenti vedevano nell’università il luogo elettivo per formare la classe dirigente ed ambedue sottolineavano lo stretto legame di corresponsabilità tra classe dirigente e società: l’una è specchio dell’altra. L’una tende a nascondersi nei difetti e nei pregi dell’altra.
Tuttavia, mentre Jefferson pensava che la ricetta migliore per avere una buona classe dirigente fosse incentivare il progresso dell’intera società, Roosevelt era del parere che la formazione e la selezione della classe dirigente fosse una pre-condizione indispensabile per migliorare la società statunitense. Roosevelt, con la sua visione panpolitica e pragmatica che lo avrebbe condotto a reclutare i migliori indistintamente tra repubblicani e democratici, lasciò un’impronta indelebile nella cultura politica americana, contribuendo - come aveva fatto Jefferson - a rendere le università statunitensi le migliori del mondo, nelle quali vige la cultura del merito che è quanto occorre per selezionare adeguatamente una classe dirigente. Questa quindi, secondo Roosevelt, andava reclutata facendo in modo che chi per diritti proprietari vi apparteneva, ricevesse comunque un’istruzione nelle migliori università, in modo da esibire non solo un credito ereditario ma anche una competenza ed un accountability soddisfacenti. Alla classe dirigente dovevano appartenere anche i meritevoli delle classi sociali inferiori. Anzi, le alte tasse di iscrizione pagate dai rampolli dell’upper-middle class, generosa anche per donazioni, sarebbero servite a consentire ai meno fortunati di cogliere le opportunità di merito mediante borse di studio consistenti.
Questo è ciò che di meglio ci può suggerire il liberalismo democratico americano in tema di formazione delle classi dirigenti. Le tre parole chiave sono università, merito e senso di responsabilità. Purtroppo, il nostro Paese, ma forse gran parte dell’Europa Continentale, sta ancora coltivando qualcosa di simile all’utopia sociale jeffersoniana e all’egualitarismo della rivoluzione francese, senza per altro disporre di mezzi e risorse per accostare questi ideali. Infatti, le nostre università di massa non sono adeguate né a formare né a selezionare classe dirigente, ma non hanno neppure troppo successo come contesti formativi dell’intero tessuto sociale e civile visto la critica ricorrente per l’elevato abbandono «di massa» a cui sono soggette. Il risultato amaro è che nel Belpaese la mobilità sociale langue e il boccaporto che conduce nella stanza dei bottoni è troppo spesso chiuso al merito. Se mai vi accedono yesman interessati, astuti fedeli, insomma le cosiddette volpi che vanno a dare man forte ai leoni che detengono una forza durevole e non un potere sporadico. Morale: prima di avere pretese di cambiamento radicale bisognerebbe dimostrare di essere almeno un buon riformista che sa fare i conti con la realtà, almeno per ciò che riguarda la selezione della classe dirigente. Speriamo quindi che Mussi, il nuovo ministro, incentivi una cultura universitaria di doppio livello: lauree triennali al fine di garantire un progresso dell’intera società in termini di educazione superiore; lauree specialistiche, caratterizzate da criteri di competizione e merito, per selezionare al meglio quadri dirigenti.