Ritorno al futuro
di Alessandro D'Avenia
Quale è stata la cosa più bella di ieri? Ho chiesto qualche giorno fa a una classe di universitari di un master di scrittura. Li incontravo per la prima volta e, per entrare rapidamente in sintonia con loro, ho inventato una forma particolare di appello. Bisognava dire il proprio nome e raccontare, in breve, la «cosa bella» del giorno prima: la vittoria della squadra del cuore acciuffata ai rigori, la lettura delle ultime pagine di Anna Karenina, una carbonara ben riuscita e condivisa con un amico, pettinarsi senza sentire — per la prima volta — il dolore di una ferita provocata da una violenza... Sono tutte esperienze (quanto straordinarie non conta) di risonanza, che fermano il tempo e che vengono mandate «a memoria» (in inglese si dice by heart, in francese par coeur: «cuore»), perché sono vita che si è ampliata e non può essere più portata via: si vive più «a lungo» solo quando si vive più «in largo» o «in profondità». Se invece la felicità si riduce a un risultato relativo a oggetti e standard da raggiungere, l’ordinario viene escluso e la memoria si riduce a una soffitta ingombra di pezzi di passato, rispolverati in occasioni estemporanee e sentimentali. Dopodomani celebriamo la Giornata della Memoria e non possiamo ridurla a questo. La memoria è molto di più: è la vita che vince sul tempo, un pozzo interiore a cui attingere, in qualsiasi momento, l’ispirazione e il coraggio all’azione.
La Giornata della Memoria non può allora ridursi a un’emozione passeggera provocata dall’orrore, ma deve essere vita che dà energia al quotidiano perché evita che di quell’orrore si ripeta la sostanza, che Hannah Arendt chiamava «banalità del male»: la complicità ottusa e silenziosa di migliaia di persone a un sistema che sterminava innocenti. Non perdere la memoria significa allora salvare la vita dalla rapacità del tempo e dalla violenza degli uomini. Appartiene «alla memoria» un evento che amplia la vita, non solo le teche di un museo, in cui la vita è imbalsamata e servirà sì a soddisfare la nostra curiosità, ma di rado a ispirarci un’opera e darci coraggio nell’agire quotidiano.
Nell’ultima settimana ci sono stati diversi episodi di questo tipo di memoria vitale e ne voglio riportare solo qualcuno nel quale sono stato, più o meno direttamente, coinvolto. Un liceo di Bergamo ha girato il video «Lezioni per il futuro»: in un campo di calcio ci sono i banchi disposti a distanza e i ragazzi a turno raccontano l’attuale fatica di docenti, genitori e studenti. Hanno stilato un manifesto che a un certo punto dice: «Abbiamo capito che l’interesse per la nostra fascia di età è un interesse di facciata. Per questo, di fronte a istituzioni insensibili alle nostre richieste e incapaci di elaborare in dieci mesi un piano efficiente di ritorno in presenza, abbiamo deciso di prendere noi l’iniziativa». Poi c’è una scuola di Asola (Mantova), nella quale, per giustificare l’adesione alla manifestazione dell’11 gennaio, i ragazzi hanno scritto una dettagliata lettera che si apre così: «Alla cortese attenzione di dirigenti scolastici, studenti, docenti, personale Ata, genitori e tutti coloro che hanno a cuore la scuola e i giovani. Con la presente noi studenti vorremmo condividere il disagio e la frustrazione causati dal continuo rinvio dell’inizio delle lezioni in presenza, di cui veniamo sempre informati con poco preavviso, e a cui si crede di poter sopperire utilizzando la Dad. Il Governo, il Ministero dell’Istruzione e i rappresentanti delle regioni, in questo lasso di tempo non hanno consentito che si realizzassero le condizioni idonee affinché potesse essere ripresa la didattica in presenza in sicurezza». Potrei raccontare di altre scuole silenziosamente «occupate», o per meglio dire «aperte», dai ragazzi, ma non ci sono solo loro. Infatti alcuni genitori, guidati dalle avvocate Maschietto e Canta, hanno fatto ricorso al Tar della Lombardia contro l’ordinanza di prolungamento della chiusura delle superiori nonostante si dovesse riaprire, in modo sicuro e parziale, dal 7 gennaio. Il Tar ha dato loro ragione perché in nessun documento il Cts cita la correlazione tra aumento dei contagi e scuola in presenza, affermando inoltre che la Dad, in quanto tale, viola il diritto all’istruzione. E oggi, a Milano (la Lombardia era zona «rossa» — sembra — per un errore di calcolo), le scuole riaprono e io non vedo l’ora di formulare di nuovo l’appello guardando negli occhi ognuno dei miei studenti, nel rispetto di tutte le norme di sicurezza.
Ho voluto riportare esempi di «resistenza intelligente» che non ammette indifferenza o complicità per quieto vivere. Quando vedo i «giusti» lottare, soprattutto se ragazzi, «ritorno al futuro». La loro Memoria — nell’antica Grecia era la madre delle Muse — dà vita a quella che io chiamo «ribellezza», l’opera ispirata e coraggiosa di chi sa difendere la vita perché «sa a memoria» che cosa è la vita.