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Salviamo l’Italia dall’ignoranza

Più di undici milioni di cittadini sono analfabeti funzionali La studiosa Vittoria Gallina spiega perché a rischiare è la democrazia

20/04/2021
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la Repubblica

di Simonetta Fiori

Si chiama analfabetismo funzionale. È un fenomeno che incide molto sulla coscienza democratica di un paese ma del quale si parla poco, come un imbarazzante segreto di famiglia. Più di undici milioni di italiani tra i 15 e i 64 anni, più maschi che femmine, appartengono alla categoria: non sono analfabeti totali, riconoscono le lettere dell’alfabeto e le singole parole, ma non colgono il significato di un testo elementare, non sanno orientarsi nel mondo digitale e di conseguenza non sono capaci di cavarsela sul lavoro, nelle relazioni sociali, nella tutela della salute. Di questa invisibile moltitudine esclusa dal pieno esercizio della cittadinanza, e condannata dalla pandemia ad allargarsi, si occupa da quarant’anni Vittoria Gallina, autrice di importanti ricerche internazionali.

Classe 1940, la professoressa Gallina appartiene a quella generazioni di democratici che s’è presa a cuore la crescita culturale degli italiani: prima con il sindacato della scuola voluto da Vittorio Foa alla Cgil, poi seguendo gli insegnamenti di Aldo Visalberghi e Tullio De Mauro sulla formazione degli adulti. A ottant’anni continua ad accumulare documenti e numeri sull’emergenza educativa, in stretto contatto con i colleghi europei del progetto Piaac (

Programme for the International Assessment of Adult Competencies), che dovrebbe ripartire quest’anno allargando l’indagine agli aspetti emotivi degli intervistati. E non nasconde la sua preoccupazione sugli effetti dell’ “uragano Covid” in un paese culturalmente molto arretrato.

Professoressa, chi sono gli analfabeti funzionali?

«Sonopersoneche, purdotatedi un titolo di studio, non sanno usare le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle varie situazioni della vita quotidiana. Edi conseguenza non sono in grado di orientarsi nella societàcontemporanea».

Questa capacità viene indicata con la parola “literacy”.

«Sì, è la capacità che è richiesta per tessere relazioni sociali, per raggiungereobiettivi, per sviluppare conoscenzaepotenziale umano.

Literacyè lo strumento moltiplicatore di effetti che mettono i cittadini nelle condizioni di partecipare,con consapevolezza e responsabilità, alla vita democratica diunpaese».

Possiamo fare degli esempi concreti di analfabetismo funzionale?

«Inuna delle prove Piaac agli intervistati veniva chiesto di identificare un numero ditelefono in un breve annuncio. Di solito si tratta diun testo semplice,con poche informazioni contrastanti. Molti italiani adulti non lo sanno fare. Una prova appenapiù complessaconsiste nelchiedere quante fossero le insegnantidonne in Grecia indicandouna tabella che mostra graficamentequesta informazione perdieci paesi. Comevede si tratta di esercizi elementari».

Quante persone non superano questi test?

«Secondogli ultimi dati Piaac Ocse, i

lowskilled in Italia sono il 27,9 per cento della popolazione residente tra i16 e i 65 anni, ossia undici milioni di adulti, in gran parte lavoratori più anziani e immigrati, concentrati nelle imprese più piccole, in settori menoprogrediti enelle regioni meno sviluppate. Un livello assai più elevatorispetto alla media europea che si attesta al 12 per cento».

Accanto a questo dato, colpisce che il settanta per cento degli italiani adulti non sia in grado di raggiungere il livello più alto fissato da Piaac. Faccio un esempio delle prove richieste: identificare in una lista di dieci titoli il libro meno utile nel fornire approfondimenti su un tema specifico, ad esempio gli alimenti geneticamente modificati.

«Oltre 26 milioni sono al di sotto del livello che indica la piena padronanzadella strumentazione per svolgere i compiti dell’età adulta: mi riferisco alla capacità di comprendereeprodurre conoscenzee informazioni. E, soprattutto, alla capacità di innestare nuoveesperienzesu patrimoni posseduti. Tra ipaesi dove si è svolta l’indagine Piaac, siamo al primo postoper numero di analfabeti funzionali. E all’ultimo per high skilled. L’aspettopiù preoccupante è che questi dati sono destinati ad aggravarsicon lapandemia».

All’analfabetismo funzionale s’accompagna quello digitale. E la didattica a distanza ha escluso un’ampia fetta della popolazione che non possiede competenze tecnologiche.

«Anchequi le cifre nonsono incoraggianti. Il 33,8 per cento delle famiglieitaliane nonhaun computer o un tablet. E il 14 per cento di queste famiglieha almenounminorea casa. Nel Mezzogiorno lapercentuale di chinonpossiede strumenti tecnologici sale al 41 per cento. Molti ragazzisono rimasti esclusi dalla didattica a distanza, con una crescita degliabbandoni scolastici che erano giàmolto alti. Ho l’impressione però che si continui a fare finta che tutto vabene.Sonoandataa vederei risultati della maturità del 2020, superatain piena pandemia: i voti sono più alti rispetto all’anno precedente. Elà dove lelodi sono generalmente generose –il Sud d’Italia – si continua a dare sempre piùencomi.Comesenon volessimo prendere atto dei nostri ritardi culturali enormi».

Le statistiche raccontano un altro paese: secondo una recentissima indagine dell’Istat, nell’anno del Covid sono cresciuti i neet, i ragazzi che non studiano né lavorano: sono un quarto dei giovani tra i 15 e i 29 anni.

«Èunfenomenoconseguente alla crescita degli abbandoni scolastici.

Unmodo per arrestarel’emorragia potrebbe essere quello di spostare l’esame di Stato alla fine del primo bienniodelle scuole secondarie superiori. Dal 2007 la scuola dell’obbligo è stata prolungata di due anni, ma l’esame sicontinua a fare in terzamedia. Inquestomodo molti ragazzinirimangonocon la certificazione conseguita a 14 anni, rinunciando a proseguire nella formazione scolastica. Oppure capita che il loro destino sia deciso dalle famiglie, con l’iscrizione ai tecnici e ai professionaliquasi automatica nelle fascepiù basse. Comedicono i miei colleghi dell’Ocse, in Italia spesso bastail Cap per misurare le competenzedeiragazzi: dal quartiere intuisci il livello di studi».

Un tempo l’analfabetismo veniva nascosto come una vergogna. Quello attuale viene vissuto nella totale inconsapevolezza.

«Lovediamochiaramenteda un’inchiesta del Censis: molti non hanno laformazione digitale appropriatama non sentono il bisognodi migliorare. L’assenza di ambizioni dipendeanche dal fatto che sono lestesse mansioni lavorative a richiedere capacità limitate. L’analfabetismo è lo specchio diun progressivo abbassamento dellaqualità del lavoro che in questi anniè stato parcellizzato, trasferito altrove, per lo piùdequalificato. La scuola media unicaobbligatoria ènata nel 1962 per rispondere a una richiesta democratica di crescita sociale, ma ancheper soddisfare ladomanda dettata dallo sviluppo industriale.

Figliad’una famiglia piemontese, sono cresciuta nel mito dell’operaio Fiat capace di far tutto, perfino il baffo alle mosche. Oggi, al di là di rare isole di alta specializzazione, la produzionedimassa si èmolto impoverita».

Resta molto forte il rapporto tra analfabetismo ed esercizio della cittadinanza.

«La classe dirigente italiana ne era consapevole ai tempi di Giolitti.

Primadell’approvazione del suffragio universale maschile (1912) furono avviati vari studi parlamentari sulle differenze tra elettori istruiti ed elettori semianalfabeti. Si temeva che l’allargamento dell’elettorato avrebbe potuto favorire “il sopravvento delle forze conservatrici e reazionarie”, come si legge nella nota conclusiva. A distanza di oltre cent’anni, misembra che quel monitoabbia mantenutotutta lasua attualità».