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Scoppia la guerra del sapere

Si accende il dibattito sull’impoverimento degli studi letterari e filosofici e, allo stesso tempo, prende corpo l’ipotesi di una campagna antiscientifica. Ma il pensiero critico ha bisogno di difendere una visione umanistica

16/03/2014
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Il Messaggero

 CASO
Cresce l’allarme per lo svilimento degli studi filosofici, storici e letterari: alcuni corsi di laurea hanno eliminato filosofia dalle tabelle e cresce la pressione a ridurre la durata dei licei a quattro anni. Roberto Esposito e Dario Antiseri hanno accusato l’“ignoranza attiva” di voler cancellare il pensiero critico dall’istruzione. Ma secondo altri, in Italia, è la cultura scientifica a essere nell’angolo; e la carenza di laureati in materie scientifiche sarebbe dovuta a una campagna antiscientifica che proscrive ciò che è misurabile, quantitativo e utile. Giovanni Reale ha replicato criticando l’idea che il sapere derivi tutto dalla scienza e che la tecnologia risolva ogni problema. Appare incancrenito il conflitto tra le “due culture”, divise da una barriera che lascia come unica possibilità la definizione dei rispettivi spazi di influenza.
In realtà, le scienze “esatte” che hanno creato la tecnologia non si basano sull’idea di essere l’unica fonte di conoscenza. La contrapposizione tra scienza e filosofia (tra scienze “esatte” e il “resto”) è artificiosa. È legittimo, invece, paventare che l’indirizzo attuale della ricerca scientifica dissolva la funzione conoscitiva della scienza, privilegiando una prassi puramente manipolativa. Ma si tratterebbe di qualcosa di molto più grave dell’attacco alla filosofia: sarebbe un attacco alla conoscenza, vista come un inutile orpello di cui la tecnologia può fare a meno. È possibile che il crescente protagonismo della “tecnoscienza” stia dissolvendo la scienza che conosciamo da qualche secolo. Ma quali sarebbero le conseguenze? In realtà, gli immensi progressi della tecnologia sono prodotto di concetti teorici: l’esempio più evidente è dato dall’oggetto tecnologico che più di ogni altro ha cambiato il mondo, il computer digitale, prodotto di modelli teorici (la macchina di Turing e l’architettura di von Neumann). Quindi, la storia suggerisce che un approccio manipolativo possa condurre al declino di una tecnologia priva di linfa teorica. È un tema cruciale che investe sia le prospettive della società tecnoscientifica che il ruolo della conoscenza: la posta in gioco va oltre la definizione per la filosofia di uno spazio da riserva indiana, in cui potrebbe finire anche la scienza e ogni attività conoscitiva.
L’OSSERVAZIONE
Una pessima divulgazione accredita l’idea secondo cui Galileo avrebbe fondato la scienza moderna sull’osservazione empirica. È proprio il contrario: Galileo parte da ipotesi matematiche e le confronta con la realtà costruendo esperimenti, “cimenti”, con cui interroga la natura. Chi confonde il metodo sperimentale con l’empirismo non ha capito nulla della scienza moderna. Si cita spesso la famosa frase di Galileo secondo cui l’essenza del mondo «è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (e dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, a conoscer i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica … senza cui è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto». Su questa “matematica purissima” Galileo ha costruito la sua fisica. Ma “il mondo è matematico” è un’asserzione metafisica, è un’ipotesi indimostrabile che deve confrontarsi perpetuamente con i fatti e la cui sopravvivenza dipende dal suo successo. I trionfi della fisica hanno dato ossigeno all’ipotesi che “il mondo è matematico”, ma l’estensione del concetto di “mondo” al di là della sfera naturale è stato come scendere nelle sabbie mobili: i modesti risultati conseguiti nel campo dei fenomeni biologici, economici, sociali non hanno certo convalidato l’ipotesi che (tutto) il mondo è matematico.
IL TEORICO
Tuttavia, quell’ipotesi è stata il fondamento della scienza moderna, come ha spiegato il grande storico della scienza Alexandre Koyré: «Una scienza di tipo aristotelico, che parte dal senso comune e si basa sulla percezione sensibile, non ha bisogno di appoggiarsi a una metafisica. Essa vi conduce, non parte da questa. Una scienza di tipo cartesiano, che postula il valore reale del matematismo, che costruisce una fisica geometrica, non può fare a meno di una metafisica. E anzi, non può far altro che cominciare da essa. L’abbiamo dimenticato. La nostra scienza va avanti senza occuparsi molto dei suoi fondamenti. Il suo successo le basta fino al giorno in cui una “crisi” – una “crisi dei principi” - le rivela che le manca qualcosa, cioè capire ciò che fa». È una descrizione tanto chiara che non vi sarebbe nulla da aggiungere circa i rapporti tra scienza e filosofia: l’architrave della scienza moderna è una metafisica ed è illusorio affrontare le crisi senza occuparsi dei fondamenti.
SERVONO VITAMINE
I veri scienziati hanno sempre difeso il primato della teoria. Leonardo da Vinci ammoniva che «quelli che s’innamoran di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch'entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada. Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza». Roba “vecchia”? Leggiamo allora il fulminante aforisma di uno scienziato contemporaneo (che ha dato una cosa tanto concreta come la vitamina C), Albert Szent-Gyorgy: «Lo scoprire consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato». Senza il pensiero teorico l’osservazione empirica è cieca. E François Jacob, uno dei padri della biologia molecolare, dopo aver ridicolizzato il concetto di “quoziente intellettivo”, scriveva: «Come se la cosa più importante nella scienza fosse misurare! Come se, nel dialogo tra la teoria e l’esperienza, la parola fosse in primo luogo ai fatti! Una simile credenza è semplicemente falsa. Nel procedere scientifico è sempre la teoria ad avere la prima parola. I dati sperimentali non possono essere acquisiti, non assumono significato, altro che in funzione di questa teoria».
EMPIRISMO
Proprio gli scienziati cui dobbiamo la tecnologia che ha cambiato il mondo – computer digitale, biologia molecolare, genetica — sapevano che scienza ed empirismo sono agli antipodi e che poggiare la formazione scientifica, anche a livello scolastico, sul secondo è un errore madornale. Ogni scuola deve possedere un laboratorio di scienze, ma perché serva a qualcosa occorre entrarvi per confrontare con l’esperimento conoscenze teoriche apprese. È un apparente paradosso che la necessità strategica del pensiero teorico sia chiara soprattutto a chi lavora in ambito tecnologico, come gli ingegneri, che ben sanno che un’avanzata, per esempio nella progettazione di nuovi sistemi di trasporto, richiede un ripensamento teorico. La storia da torto a chi crede che la tecnologia possa essere più innovativa se libera dell’“impaccio” del lento procedere della ricerca di base.
Una scienza capace di ripensare continuamente i propri fondamenti teorici ha assoluto bisogno di pensiero filosofico. Ha ragione Roberto Esposito quando dice che abolendo la filosofia si abolisce il pensiero critico. Vado oltre: colpendo così il pensiero critico si colpisce la democrazia. Ma garantire alla filosofia uno spazio da riserva indiana non garantisce la sopravvivenza dello spirito critico. Occorre anche difendere la scienza come progetto di conoscenza. Questo è un dovere primario, senza divisioni in zone d’influenza; ed è l’unico modo per difendere una visione umanistica senza cui le nostre società non hanno futuro.
Giorgio Israel