Scuola, il solito inizio
Fracassi, FLC CGIL: si ricomincia male, con 200 mila supplenze. I pericoli del dimensionamento e dell'autonomia differenziata. “Il 7 ottobre la conoscenza sarà in piazza”
“Cosa troveremo a inizio anno scolastico? La risposta è semplice, quello che troviamo sempre: innanzitutto tante, troppe, supplenze. Non abbiamo ancora le cifre definitive, ma dalle nostre stime saranno circa 200 mila”. È amaro il commento della segretaria generale della FLC CGIL, Gianna Fracassi, sulla situazione della scuola italiana. “Sembra un gioco dell’oca: torniamo sempre alla casella 1. il numero di precari tra docenti e ATA continua a essere altissimo, con una questione su tutte: il numero di supplenze sui posti di sostegno è a quota 116 mila”.
Buon anno scolastico, l’augurio di Gianna Fracassi
Come si spiega tutto questo?
Anche questa risposta purtroppo è semplice: negli anni non si è mai voluto mettere mano in maniera strutturale al tema del precariato: ci sono state solo toppe. Ed è una cosa gravissima che riguarda non solo la condizione lavorativa di lavoratrici e lavoratori, ma anche una continuità didattica che in questo modo è impossibile da assolvere.
Però i percorsi abilitanti e i concorsi stanno ripartendo e sono legati al Pnrr, non è già qualcosa questo?
Sì, ma la soluzione non è immediata perché c’è un problema di fondo non risolto. Nonostante tutti gli interventi molti diversi e poco omogenei che si sono susseguiti negli anni, se tu non dai la possibilità di assumere su tutti i posti vacanti di fatto costruisci una macchina che sforna precarietà.
In che senso?
Nel senso che abbiamo migliaia di posti di docenti che non possono essere coperti in pianta stabile perché non sono in organico di diritto. Puoi fare tutti i concorsi che vuoi, ma se non cambiano le norme non li puoi coprire. Per gli ATA il discorso è un po’ diverso, ma il risultato non cambia, perché le norme consentono di coprire solo il turn-over.
Altro tema annoso è quello della mobilità degli insegnanti. I giornali raccontano tante storie di lavoratrici e lavoratori alle prese con le difficoltà di spostarsi, generalmente verso Nord dove la vita ha costi altissimi...
Alla base di queste difficoltà c’è innanzitutto una questione salariale generale. L’aumento degli stipendi in settori fondamentali come quello dell’istruzione – ma non solo ovviamente, basti pensare alla sanità – deve trovare una soluzione nella prossima legge di bilancio. Sullo specifico della questione che sollevi a pesare molto nel nostro paese c’è poi l’assenza di politiche abitative adeguate: le grandi aree urbane e alcuni territori hanno costi per gli affitti proibitivi per il personale della scuola. Inoltre, chi si sposta ha quasi la certezza che per tre anni non potrà tornare nel luogo dove vive. Una scelta non facile, soprattutto per le donne che hanno figli.
Una novità di questo anno scolastico è il pesante dimensionamento deciso dall’ultima legge di bilancio che porterà alla soppressione di circa 700 autonomie scolastiche, con un taglio netto di circa 1.400 posti tra dirigenti scolastici e Dsga. La scusa è che questa indicazione sarebbe contenuta nel Pnrr...
Hai detto bene: si tratta di una scusa, Il Pnrr non c’entra proprio nulla. Chiamiamola per quello che è: una scelta di spending review. E mi chiedo veramente che senso abbiano questi accorpamenti quando hai invece bisogno di istituzioni scolastiche più vicine al territorio. Se chiudi e riaggreghi in megascuole, è molto difficile che queste rimangano efficaci agenzie educative. Una perdita grave, soprattutto nelle aree interne e nelle zone degradate delle grandi città dove spesso la scuola è l’unico soggetto esistente. Come si può pensare che riescano a svolgere bene il proprio ruolo di presidi educativi nei territori dirigenti scolastici che sono costretti a interfacciarsi anche con 10 Comuni in aree estesissime? Come possono contribuire allo sviluppo e alla coesione sociale?
E poi, naturalmente, l’autonomia differenziata...
Il mix tra dimensionamento e autonomia scolastica produrrebbero un forte arretramento, andando in direzione opposta rispetto a quello di cui c’è più bisogno nel nostro paese, cioè una maggiore coesione sociale. L’autonomia è un progetto di legge antistorico e che secondo me non risponde al dettato costituzionale. Non mi riferisco all’articolo che prevede la possibilità delle intese con le Regioni, ma al ruolo che alla scuola viene assegnato nella Carta: una scuola che serva a superare le disuguaglianze, una scuola aperta a tutti. Si dice, all’articolo 33, che “la Repubblica istituisce scuole di ogni ordine e grado”. La Repubblica, non le Regioni, rimarcando così con forza il suo ruolo nazionale. Sul terreno pratico mi pare evidente l’obiettivo del progetto: realizzare un sistema à la carte che divide ulteriormente il paese. Si frammenta il sistema dell’istruzione, dimostrando che la lezione della pandemia non è servita a nulla. Sullo sfondo, l’egoismo fiscale: i soldi devono essere collocati dove si “producono”.
In primo piano anche la questione del contratto. Le indiscrezioni sulla legge di bilancio non lasciano ben sperare…
La situazione è questa: in estate abbiamo chiuso un contratto scaduto e stiamo facendo una vertenza per la tornata 2022-2024, cioè per un contratto che scadrà tra 12 mesi. Trovo che questo sia inaccettabile e non soltanto per le questioni retributive che sono importantissime per rispondere all’erosione salariale e all’inflazione. È il meccanismo a essere profondamente sbagliato perché disegna un sistema pubblico totalmente assoggettato alle disponibilità dei singoli governi. Per avere le risorse per chiudere il contratto 2019-2021 ci sono volute tre leggi di bilancio. C’è in sostanza una mancanza di assunzione di responsabilità del datore di lavoro, che in questo caso è lo Stato, rispetto ai propri dipendenti.
Il 7 ottobre la Cgil, insieme a più di 100 associazioni, scenderà in piazza: “La via maestra”, una grande manifestazione nel solco dei valori della Costituzione. Che posto occupa la conoscenza rispetto a questi temi?
Quando si parla di difendere i valori costituzionali il sistema della conoscenza è in prima linea. All’interno di questi valori c’è disegnato il ruolo che non nel 1948 ma nel 2023 deve avere la conoscenza. Quello che i padri costituenti hanno fatto è illuminare il futuro, indicare una strada e se guardo a quelle che sono le sfide del paese, è chiaro che la conoscenza è fondamentale e preservarla rispetto alle logiche distruttive di breve periodo è una grande responsabilità.
E nello specifico della piattaforma?
La piattaforma del 7 ottobre è per un modello di sviluppo diverso che da anni come Cgil indichiamo. Lo indichiamo sul lavoro, sulla riconversione verde, sulla digitalizzazione e così via. E naturalmente lo indichiamo anche rispetto ai diritti sociali, e quindi a quelle infrastrutture di cittadinanza senza le quali un paese si sgretola. E poi i giovani: la responsabilità che abbiamo verso di loro – in un momento storico così complesso sia sul versante del lavoro, basti pensare alla precarietà, sia sulla loro possibilità di partecipare alla costruzione di quegli obiettivi che la Costituzione delinea – è enorme. In questa fase sui giovani ci sono tante parole ma poche azioni.