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Scuola, le cose da fare subito

di Andrea Gavosto

15/02/2021
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la Repubblica

In materia di scuola, il governo Draghi e il neo-ministro Patrizio Bianchi dovranno agire su due fronti. Da un lato, entro aprile il governo dovrà ridefinire, con maggior visione, gli interventi di lungo periodo del Piano di ripresa e resilienza, in particolare la ristrutturazione degli edifici scolastici e la formazione alla didattica dei docenti. D’altro lato, occorre porre subito rimedio a due emergenze: la perdita di apprendimenti e di socializzazione causata dalle chiusure scolastiche e l’avvio regolare del prossimo anno scolastico.

Del prolungamento delle lezioni, per consentire di recuperare i ritardi di questi mesi, ho scritto su questo giornale il 6 gennaio. Si tratta di una misura a mio avviso necessaria per evitare danni permanenti a questa generazione di studenti. Un intervento utile a tutti, da calibrarsi - nei tempi e nei modi –in base al ritardo dei ragazzi in ogni classe, utilizzando le prove Invalsi. Per certi versi, ancora più complesso è l’obiettivo di avere tutti i docenti in cattedra all’inizio dell’anno scolastico. Quest’anno - proprio quando sarebbe stato necessario che la scuola partisse bene e subito – mancavano insegnanti ancora a Natale. La causa è un meccanismo di reclutamento fallimentare, che in molte regioni e in molte materie non consente più un flusso adeguato di docenti con le qualifiche per l’assunzione in ruolo, facendo lievitare il numero dei supplenti. Già ora sappiamo quante cattedre scoperte avremo a settembre e, dunque, da assegnare a supplenti: quasi 220mila. Di queste, poco meno di 70mila sono di ruolo, al netto dei pensionamenti di quest’anno e del concorso straordinario, che dovrebbe portare 30mila neoassunti. Gli altri 150mila posti – inclusi 80mila di sostegno – non sono di ruolo. In ogni caso, una cifra enorme - l’1% dell’occupazione italiana – e un record negativo per la nostra scuola.

Per riempire queste cattedre entro settembre, il governo ha due soluzioni, entrambe non ideali. La prima è assumere in ruolo senza concorso decine di migliaia di precari, quasi tutti senza abilitazione. Di fatto, sarebbe un’altra sanatoria, come tante di questi decenni, l’ultima delle quali, parziale e inefficace, quella della Buona Scuola. Sarebbe una scelta sbagliata: un rimedio forse al problema immediato, ma con il serio rischio di ipotecare la qualità futura dell’istruzione. Di questi insegnanti, infatti, si può verificare il titolo di studio, non le capacità. Magari sono ottimi, magari pessimi, ma non lo sappiamo: una volta assunti, resterebbero nella scuola per decine di anni. La seconda strada è congelare in via straordinaria l’attuale situazione, confermando in cattedra per il prossimo anno i docenti di oggi, salvo chi vuole andare in pensione. Così si guadagna un anno per avviare una riforma della formazione e del reclutamento, con l’obiettivo di lunga lena di migliorare la qualità dell’insegnamento e rinnovare la didattica. Oltre ai sindacati, questa soluzione non piacerà a molti docenti. In effetti, sospende temporaneamente la possibilità di quelli di ruolo di trasferirsi in un’altra scuola, mentre diminuisce le chance di lavoro dei precari ora senza incarico. Inoltre, se garantisce che a inizio anno quasi tutte le cattedre siano occupate e ci sia continuità didattica, non dà certezze sulla qualità dell’insegnamento, non potendo escludere la permanenza di chi non ha dato buona prova di sé.

Realisticamente, però, è il minore dei mali. Con due pregi: dà priorità ai bisogni degli studenti, che oggi devono venire prima di tutto; dà respiro per gettare le basi di una nuova stagione della scuola italiana, con insegnanti meno precari, meglio formati e con adeguate prospettive di carriera .

Andrea Gavosto è direttore della Fondazione Agnelli


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