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Scuola, le prove di valutazione non possono essere un totem

Benedetto Vertecchi .

24/03/2013
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l'Unità

LASCIA SCONCERTATI LA FACILITÀ CON LA QUALE TROPPI IMPROVVISATI PALADINI DELLA VALUTAZIONE AFFERMANO CHE OCCORRE RILEVARE I LIVELLI DI APPRENDIMENTO degli allievi per migliorare le pratiche educative delle scuole. Ancora più sconcertati lascia l'atteggiamento di fronte alla strumentazione che più di frequente è utilizzata per ottenere i dati sui quali la valutazione si fonda: non troppi anni fa, chi affermava che per rilevare gli apprendimenti conseguiti dagli allievi si poteva utilizzare uno strumentario composito, in cui fossero comprese anche prove strutturate, veniva tacciato di fordismo, mentre oggi si assiste ad una accettazione acritica. Ma non sono questi rovesciamenti di fronte gli aspetti più preoccupanti di un dibattito che sta dividendo non solo le scuole ma, più in generale, gli atteggiamenti sociali in due fazioni contrapposte, l'una dei fautori e l'altra dei detrattori di approcci alla valutazione del sistema scolastico fondate sul ricorso a prove strutturate. Ciò che preoccupa è l'estrema povertà delle interpretazioni valutative che sono espresse a sostegno dell'una o dell'altra posizione. Sono interpretazioni in palese contrasto con l'abusato richiamo alla necessità di tener conto del carattere di sistema proprio dell'educazione, che impedisce di comprenderne e spiegarne i fenomeni se non entro quadri di riferimento che tengano conto di una grande varietà di fattori. Dal punto di vista conoscitivo, ciò significa che sono molti gli elementi che concorrono a determinare i risultati dell'educazione e che è scorretto porre in relazione solo caratteristiche degli allievi che si osservano in un momento iniziale del percorso educativo con altre che si rilevano, più o meno modificate, in momenti successivi. Ne deriva che se affermo, come i nuovi valutatori sono soliti fare, che occorre stabilire quali scuole ottengano risultati migliori e quali meno buoni, e che le famiglie debbano essere poste in condizione di selezionare le scuole migliori, incorro nella formulazione di un giudizio che ha senso solo da un punto di vista ideologico, perché è conforme a categorie di valore la cui affermazione potrebbe persino prescindere dalla rilevazione di dati, ma è del tutto inconsistente dal punto di vista conoscitivo, perché riferisce gli esiti osservati dell'educazione solo ad una parte limitata delle variabili indipendenti. 50 anni fa, quando s'incominciò a disporre di dati descrittivi del funzionamento del sistema scolastico italiano, rilevati su campioni d'allievi nel quadro di rilevazioni internazionali, larga parte dei commentatori rifiutò di riflettere sui primi, evidenti segni di inadeguatezza del sistema educativo nei confronti delle esigenze poste dal crescere impetuoso della domanda sociale di istruzione. Eppure, già da quei primi dati risultava evidente che i limiti che si sarebbero dovuti contrastare erano costituiti da livelli scadenti nella capacità di comprensione della lettura e nelle competenze scientifiche. Sarebbe stato insensato spiegare la tendenza complessiva del sistema solo con le differenze nelle pratiche didattiche delle scuole. Di fronte a dati insoddisfacenti, anche in Italia si sarebbe dovuta sviluppare la ricerca, mettere a punto nuove strategie per l'insegnamento, rivedere l'organizzazione delle scuole. Soprattutto, sarebbe stato necessario capire quanto il risultato educativo potesse essere riferito all'attività scolastica e quanto al prevalere di elementi di cultura sociale la cui affermazione era in contrasto con le esigenze di promuovere nelle scuole la crescita di apprendimenti a carattere sistematico. Altri Paesi si resero conto che il modello organizzativo dell'attività delle scuole di derivazione ottocentesca era troppo debole per contrastare l'effetto prorompente delle nuove fonti della comunicazione sociale e, ancora più, gli effetti del consumismo che nei Paesi industrializzati andava assumendo un ruolo valoriale. Altrove la linea di contrasto fu individuata nella crescita del tempo organizzato (specialmente nell'ambito delle scuole) a fini di educazione formale: si spiegano in questo modo i risultati conseguiti in Paesi che hanno imboccato la via virtuosa consistente nell'offrire agli allievi crescenti possibilità di effettuare nelle scuole esperienze significative per la comprensione della società e della natura e di esprimere un pensiero originale. In Italia, soprattutto in anni recenti, si è fatto il contrario: il sistema (ovvero la rete d'interazioni fra fattori scolatici e fattori sociali) è stato trascurato e i risultati dell'educazione sono stati posti in relazione alle sole caratteristiche degli allievi o alla maggiore o minore capacità degli insegnanti. L'uso di prove strutturate è diventato il totem scientista sul quale si è affermata la legittimità di una simile relazione: in pratica, si è accettato che fossero le condizioni di esistenza a determinare in maggior misura la qualità dei risultati. C'era bisogno di abusare, come si sta facendo, di prove strutturate per arrivare a queste conclusioni? O di forzare i tempi per varare un regolamento sulla valutazione rilevante solo per la rozzezza del modello implicito nella sua formulazione?