Scuola, riforma entro fine febbraio, Renzi lancia la «fase due»
Dopo la riunione a Palazzo Chigi con il ministro Giannini sui tanti nodi ancora da sciogliere della riforma che doveva tramutarsi in decreto già a gennaio
Orsola Riva
«Da qui al 28 febbraio scriveremo i testi, il decreto e il disegno di legge che presenteremo in Parlamento». Lo ha detto Matteo Renzi in un video registrato in serata a Palazzo Chigi. «Se riparte la scuola, riparte l’Italia. Noi ci stiamo credendo, ci stiamo lavorando e investendo, mettendoci tanti soldi, che sono i soldi degli italiani». Nel suo video messaggio per la ripresa delle scuole dopo la lunga pausa natalizia, il premier lancia quella che lui stesso definisce la «fase due» della riforma dell’istruzione che doveva essere varata entro la fine di luglio, era stata rinviata a settembre e poi a gennaio e ora dovrebbe vedere finalmente la luce a febbraio. Parla di decreto e di disegno di legge ma il primo atto sarà un decreto d’urgenza perché è l’unico strumento giuridico che consente di attuare la riforma in tempo utile per il prossimo anno scolastico. Il disegno di legge successivo potrebbe servire invece a predisporre un nuovo Testo unico della Scuola (l’ultimo è di vent’anni fa). L’annuncio di Renzi è giunto dopo una riunione a Palazzo Chigi con il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, il sottosegretario Davide Faraone e i tecnici del ministero sui tanti nodi ancora aperti della riforma della scuola che, ha ricordato Renzi, verterà «sull’assunzione degli insegnanti, sulla valutazione dei prof, sull’alternanza scuola-lavoro, sull’investimento in alcune nuove materie che nuove non sono come arte, cultura, diritto, economia, educazione fisica e inglese».
«La campagna di ascolto sulla buona scuola è incredibile, abbiamo fatto una cosa straordinaria, è stata giudicata dalle istituzioni europee la più grande mai fatta a livello continentale. Centinaia di migliaia persone ci hanno detto la loro, insultato, criticato, ci hanno dato suggerimenti, proposte alternative, non c’è dubbio che per la prima volta la riforma anziché farsela in ufficio i tecnici di palazzo Chigi, la stanno facendo gli italiani e le italiane», ha detto Renzi. In realtà il testo della Buona Scuola licenziato alla fine dell’estate non solo non ha convinto i sindacati ma nemmeno il Pd e anche la consultazione online che si è svolta dal 15 settembre al 15 dicembre non ha dato i frutti sperati. Alcune norme sono saltate (in primis quella che prevedeva di cancellare gli scatti di anzianità in favore di un sistema in teoria basato sul merito, in realtà piuttosto rigido e arbitrario) e rischiano di non tornare i conti soprattutto per quei 150 mila precari che dovranno essere assunti entro settembre, molti dei quali (uno su cinque circa) non prestano servizio da più di tre anni. In Parlamento è in corso da tempo un acceso dibattito sulla formazione necessaria per mettere questi docenti al passo con le competenze necessarie ai nostri ragazzi (informatica e inglese in testa a tutte) e sembra che il governo si stia orientando a rendere l’anno di prova previsto dalla legge non più una mera formalità ma, come ribadito qualche giorno fa da Faraone, «una cosa seria», in modo che possa servire a capire eventuali carenze dei neoassunti e poi a colmarle. Il problema, però, è con quali soldi: il miliardo stanziato nella Legge di Stabilità è infatti destinato prioritariamente alla stabilizzazione dei docenti. Per la formazione non è stato previsto alcun capitolo di spesa specifico: si conta sul fatto che, aggiustate le posizioni dei nuovi prof, avanzino ancora dei soldi. Ma sarà davvero così?