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ScuolaOggi: Il guazzabuglio della scuola primaria

Qual è oggi l’assetto organizzativo della scuola primaria (o elementare) nel nostro paese? Qual è lo stato dell’arte?

13/09/2006
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ScuolaOggi

Qual è oggi l’assetto organizzativo della scuola primaria (o elementare) nel nostro paese? Qual è lo stato dell’arte? Insistiamo con questi interrogativi perché siamo convinti che siamo di fronte ad un vero e proprio guazzabuglio, una situazione assolutamente diversificata ove non vi sono più riferimenti certi né per i modelli organizzativi né per gli organici dei docenti.

Ricapitoliamo. La legge n.148 del 1990 (Riforma dell’ordinamento della scuola elementare) aveva introdotto a livello nazionale i “moduli didattici”. Ogni due classi a modulo avevano assegnati in organico tre docenti, sulla base dei tre ambiti disciplinari principali desunti dai Programmi didattici del 1985. La legge prevedeva inoltre la possibilità del tempo pieno (40 ore mensa inclusa). Ogni classe a tempo pieno aveva il cosiddetto doppio organico, cioè due docenti per classe. Vi era quindi una precisa corrispondenza tra il modello organizzativo-didattico e il numero dei docenti assegnati in organico alla scuola.

Com’è noto la riforma Moratti ha cambiato registro, abrogando in larga misura la 148. Scomparsi i moduli, dei quali non si fa più menzione, i decreti applicativi della legge 53/2003 (in particolare il Decreto Legislativo 19 febbraio 2004, n. 59) prevedono un determinato monte ore (27 ore di base più eventuali 3 ore opzionali-facoltative oppure la possibilità di una estensione fino ad un massimo di 40 ore). Siamo così alla frammentazione del tempo scuola (il cosiddetto “spezzatino”) con un’ampia possibilità di variabili orarie da scuola a scuola. Un docente tutor inoltre avrebbe dovuto effettuare il maggior numero di ore (18 nei primi tre anni della scuola primaria) nella classe.

Cosa è successo inoltre, di fatto, nelle scuole? E’ successo che la riduzione degli organici, i “tagli” apportati, hanno tolto in maniera generalizzata posti docenti alle scuole (sulla base peraltro di criteri abbastanza opinabili, stabiliti dai vari CSA).

Per fare un esempio, se tre classi a tempo pieno prima potevano contare su sei insegnanti, adesso ne hanno avuti 5 e con questi hanno dovuto arrangiarsi a ricoprire l’intero tempo scuola delle 40 ore, con inevitabile riduzione o scomparsa delle ore di “compresenza” dei docenti, ore indispensabili per poter effettuare classi aperte per gruppi di alunni, attività di laboratorio per gruppi classe, ecc.

Il panorama si presenta, sul territorio nazionale, decisamente variegato: abbiamo una proliferazione di orari diversi e di modelli organizzativi non più unitari, com’erano il modulo e il tempo pieno di una volta.

Per essere chiari: se non è garantito il doppio organico (due docenti per classe) è difficile parlare di ritorno o ripristino del tempo pieno. Abbiamo semplicemente un certo numero di insegnanti – tra insegnanti di classe e insegnanti specialisti (inglese, religione) - che devono in qualche modo garantire la copertura delle 40 ore di tempo scuola. Per questo infatti è stato rilevato da più parti che il tempo pieno della Moratti, le 40 ore previste dal D.lgs. 59 con le note per la lettura diffuse dal Miur, non erano più il Tempo Pieno così come si era affermato nel corso degli anni.

Ora, fatta salva l’autonomia didattica delle scuole, andrà pure garantito un quadro comune di riferimento per quanto riguarda i modelli organizzativi di base e quindi le modalità di definizione degli organici docenti.

L’autonomia delle scuole non può voler dire che a ciascun istituto viene assegnato un certo numero di docenti, inferiori a quanto richiesto (cioè a un organico funzionale) e poi ciascuno si deve arrangiare come può. L’autonomia ha senso se si garantisce un organico effettivamente funzionale, altrimenti diventa una farsa.

Per questo continuiamo a dire che il nodo che va risolto è questo. Occorre dire chiaro e tondo qual è l’impianto organizzativo della scuola di base e far corrispondere a questo un determinato organico docenti in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale, in relazione al tempo scuola.

In assenza di una riforma radicale della scuola di base, come poteva essere la legge n.30/2000 sul riordino dei cicli, che metteva insieme la scuola elementare e la scuola media (e che avrebbe dovuto comunque ridefinirne compiutamente i risvolti organizzativi), ci chiediamo se non avrebbe senso tornare a questo punto a due modelli principali, ripercorrenti nella sostanza i moduli (27-30 ore con almeno due rientri pomeridiani settimanali, tre docenti ogni due classi) e il tempo pieno (40 ore, due docenti per classe) facendola finita una volta per tutte con la situazione di incertezza, frammentazione, disparità in cui vengono a trovarsi gran parte delle classi di scuola primaria attualmente.

Dedalus