Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » ScuolaOggi: L'esperienza del recupero debiti: riflessioni per il futuro

ScuolaOggi: L'esperienza del recupero debiti: riflessioni per il futuro

di Antonio Valentino

27/05/2008
Decrease text size Increase text size
ScuolaOggi

A margine dell'operazione “recupero debiti” (con le sue modeste positività e i suoi pesanti punti critici), è possibile aprire una riflessione sui tempi scolastici e le funzioni della didattica, a partire dalla collocazione degli interventi previsti e realizzati e il significato ad essi attribuito.

Non c'è dubbio che le disposizioni ministeriali intendevano rispondere ad un problema reale e si collocavano in una situazione di emergenza.

Ma va anche detto che la confusione che hanno creato e il dispendio di energie e di risorse che ne è conseguito impongono riflessioni critiche. Se non altro, per evitare ulteriori errori; ma anche per tentare qualche operazione di più ampio respiro.

La prima riflessione riguarda il senso del recupero e le condizioni della sua efficacia.

In proposito va osservato preliminarmente che se il recupero ha senso in quanto funzione della didattica, come giustamente si dice, è chiaro che la sua collocazione temporale è la stessa della valutazione formativa a cui si collega organicamente. Non quindi a conclusione di un trimestre o quadrimestre - come di fatto è avvenuto -, ma dentro ogni unità di apprendimento. Questo lo rende tempestivo e mirato e gli garantisce quindi efficacia.

La seconda riflessione riguarda la natura del recupero che, si è detto da più parti, prima ancora di essere disciplinare, è metodologico e soprattutto motivazionale. E investe pertanto le questioni della relazione e dei tempi dell'insegnamento e degli insegnanti, ma anche di quelli degli studenti e, più in generale, della scuola.

Sui tempi dell'insegnamento

A quest'ultimo proposito, va condiviso prioritariamente che una condizione fondamentale del successo scolastico nella situazione attuale (che deve fare in primo luogo i conti con una scuola di massa) è data dal fatto che la relazione di insegnamento non può più essere circoscritta al rapporto docente / classe e rinchiusa dentro lo spazio aula.

E quindi i tempi dell'insegnamento non possono più esaurirsi in quelli della lezione, interrogazione e verifica - valutazione.

Anche dove le funzioni della didattica sono più articolate e innovative, ma sempre circoscritte all'area della classe, il modello di funzionamento non presenta, in termini di efficacia, differenze sostanziali rispetto alle pratiche più diffuse.

Una via d'uscita a questa situazione bloccata - che è alla base di molti insuccessi, difficoltà, sviluppo inadeguato dei "talenti" individuali – può consistere in una riconsiderazione del tempo dell'insegnamento (del tempo scuola) che preveda al suo interno spazi di relazione ad hoc con i propri studenti.

Si tratta (dovrebbe trattarsi) di spazio temporale per la personalizzazione dei rapporti, della ricomposizione di eventuali conflitti e incomprensioni, della scoperta dell'altro come persona con una sua identità (interessi, stili, ritmi, tipo di intelligenza). E, ancora, di tempo per il sostegno motivazionale, dello "sportello didattico", dell'alleanza in funzione di obiettivi comuni da raggiungere, pur nella diversità dei ruoli.

Tempo fondamentale. Non prevederlo istituzionalmente in questa ottica, fuori dal rapporto con la classe e dallo spazio aula, significa negarsi chiavi di lettura, spazi di intervento e interlocuzioni importanti per prevenire l'insuccesso e coltivare l'eccellenza.

Da ciò consegue che l'impegno complessivo del docente dovrebbe includere, oltre ai tempi dell'insegnamento (orario cattedra) e delle attività funzionali all'insegnamento - comprensive della formazione e ricerca -, anche i tempi

1. della relazione educativa individualizzata /extra aula - prevedibile sperimentalmente nella misura di alcune ore settimanali (due? tre?) per l'intero anno scolastico. (Questo spazio potrebbe essere ritagliato in prima battuta anche dall'ora didattica di 60', nei casi in cui l'orario settimanale sia di 36 ore.) -;

2. del sostegno all'autoapprendimento, allo studio individuale, alla ricerca, ma anche allo sviluppo degli interessi personali (scuola aperta /”tempo educativo largo” - per usare un'espressione che rubo al collega Dario Missaglia - ), da perseguire possibilmente entro politiche territoriali.

Il tutto nella logica di "meno tempo - scuola e più tempo a scuola".

Tempi dell'apprendimento e nuova idea di scuola

Sul versante del tempo scuola degli studenti, va osservato che politiche di successo scolastico non possono far coincidere il tempo scuola (dell'orario settimanale delle lezioni) con il tempo di apprendimenti qualificati e sensati. Può darsi che il primo sia bastevole nel caso dei ragazzi più bravi e già autonomi; ma non è così per la maggior parte degli studenti.

Lo slogan "meno tempo scuola e più tempo a scuola" è dentro questo ragionamento. E il tempo a cui qui ci si riferisce è quello della relazione educativa individualizzata e del sostegno all'autoapprendimento.

Questa riconsiderazione richiede ovviamente politiche del personale coerenti, sia sul fronte professionale che su quello sindacale.

Ma richiede soprattutto una diversa cultura della scuola nella società (e in primo luogo nel ceto politico) e una diversa idea di scuola da far maturare anche negli studenti.

Ci sono tendenze negative nei nostri allievi (lo studio individuale pomeridiano come optional, l'apprendimento come risultato del semplice ascolto o come lettura acritica, le verifiche come penitenza…) che vanno corrette con strategie cariche di forte intenzionalità e competenza didattica e relazionale.

E va affermata nella cultura professionale degli operatori scolastici (dei docenti e dirigenti in primo luogo) non solo una idea di scuola come organizzazione che apprende dalle proprie esperienze e luogo della ricerca e della sperimentazione, ma anche un'idea della docenza più orientata a “insegnare ad apprendere” le discipline che ad insegnarle tout court(ma su quest'ultimo punto la riflessione andrebbe ripresa e precisata). Non sembrino, queste affermazioni, fuori della realtà . Dobbiamo maturare la consapevolezza, se non vogliamo continuare a galleggiare nella quotidianità spesso avvilente del nostro lavoro, che quella prospettata è - per quanto difficilissima - probabilmente tra quelle più valide per trovare risposte in linea col principio delle "soluzioni per approssimazioni successive" alle complessità della società attuale. Che mi sembra, allo stato attuale, quello su cui dovremmo preferibilmente misurarci.

Condizione basilare per la loro messa in atto non può che essere l'autonomia delle scuole - e il suo sviluppo -. A patto però che essa autonomia sappia coordinarsi e interagire con politiche territoriali competenti e responsabili (nel senso di "chiamate a rispondere" anch'esse, per quanto di loro competenza).

Ma questo è un altro "territorio caldo" che qui mi limito semplicemente a chiamare in causa e che richiede approfondimenti specifici. .

(Sul tempo scolastico, si vedano gli atti del Convegno dei primi di maggio della FLC CGIL - comparto Dirigenti scolastici - dedicato a questo tema, nel sito www.flcgil.it)