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ScuolaOggi: La proposta di legge Aprea: un testo con poche luci e molte ombre

alcune “ossessioni”, che rischiano di inficiare l’organicità della proposta per piegarla ad esigenze ideologiche della destra governativa

25/02/2009
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ScuolaOggi

di Gianni Gandola e Federico Niccoli

Dopo l’approvazione del decreto 137/08 e la sua conversione in legge, dopo l’emanazione dei regolamenti attuativi, è la volta ora del disegno di legge Aprea. Nei prossimi giorni andrà infatti in discussione il disegno di legge n.953 “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”, presentato in Commissione alla Camera il 12 maggio scorso dall’on. Aprea. Riprendiamo pertanto alcune considerazioni su questo testo che torna di attualità.

Preliminarmente occorre riconoscere che la proposta di legge Aprea è un documento organico che affronta in tutti i suoi aspetti le norme di autogoverno delle istituzioni scolastiche, in collegamento stretto con il Dpr 275 sull’autonomia, e la riforma dello stato giuridico dei docenti. Va detto anche che nel testo si ripropongono molti vecchi “cavalli di battaglia” dell’on. Aprea, temi già presenti in precedenti proposte di legge presentate negli scorsi anni.

Vedremo nel merito –e con riserva di una più approfondita riflessione- alcuni punti specifici. Vanno subito segnalate, però, alcune “ossessioni”, che rischiano di inficiare l’organicità della proposta per piegarla ad esigenze ideologiche della destra governativa:

? Modificare geneticamente la scuola da istituzione eminentemente pubblica in istituzione a sistema misto stato-privati (con conseguente trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni)

? La libertà di scelta educativa delle famiglie dalle quali dipenderebbero – prevalentemente – le risorse finanziarie da destinare all’istruzione

? La creazione di una sorta di ordine degli insegnanti (il cosiddetto organismo tecnico rappresentativo)

? La separazione netta delle aree contrattuali dei docenti rispetto a quella del personale ata con un tentativo di “responsabilizzazione professionale congiunta” dei dirigenti scolastici e dei docenti.

Su quest’ultimo punto critico è opportuna una prima riflessione. I dirigenti scolastici non solo esercitano una funzione altra e diversa dai docenti, così come i docenti svolgono una funzione diversa dagli ata; ma i dirigenti hanno compiti esclusivi di governo delle istituzioni e sono direttamente responsabili dei risultati. Inoltre, la stessa legge istitutiva dell’autonomia legava inestricabilmente la concessione dell’autonomia alle scuole a 4 elementi costitutivi, che ne declinavano il profilo giuridico-istituzionale : il conferimento della personalità giuridica di diritto pubblico a tutte le istituzioni scolastiche; il dimensionamento delle istituzioni da 500 a 900 alunni; il conferimento della dirigenza scolastica ai capi di istituto; la riforma degli organi collegiali della P.I. a livello nazionale e periferico. Inoltre i dirigenti mantengono poteri gerarchici nei confronti sia dei docenti sia degli ata.

Fino a quando i dirigenti erano capi di istituto poteva giustificarsi un unico contratto, sia pure distinto per profilo. Non ora, dopo la legge sulla dirigenza scolastica (legge n.59/1997, art.21).

Riteniamo che ancora oggi si giustifichi invece un’unica area di contrattazione per docenti ed ata, pur senza accedere ad indebite confusioni di ruoli e di funzioni. Sono certamente diverse e specifiche la funzione docente rispetto alla funzione amministrativa, tecnica ed ausiliaria. Ma è solo dall’intreccio fecondo tra ruoli e competenze, senza ingiustificabili “ammucchiate”, che si può centrare l’obiettivo principe dell’autonomia scolastica, che è il successo formativo di tutti e di ciascun alunno. Per converso una sorta di ghettizzazione del personale ata innescherebbe meccanismi rivendicativi, già presenti nelle scuole, che si scaricano negativamente soprattutto sull’accoglienza e sul trattamento educativo e riabilitativo in particolare degli alunni in situazione di handicap e di bisogni educativi speciali.

Il ddl Aprea, conseguentemente, trova paradossale l’eventualità che in sede RSU l’insegnante possa essere rappresentato da operatori e da lavoratori che nulla hanno a che fare (?) con la sua professione. In realtà la vera “contraddizione” è - come viene sottolineato anche nella presentazione del ddl - l’esistenza stessa della RSU nella scuola come “organismo negoziale in un contesto organizzativo che non gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattale né gestionale”, in quanto i poteri del dirigente scolastico nel reclutamento degli operatori scolastici e nella gestione del personale sono minuziosamente prescritti dalle ordinanze ministeriali.

Ci sembrano condivisibili i tre obiettivi generali dichiarati nel ddl Aprea:

? Modificare il reclutamento

? Riscrivere lo stato giuridico degli insegnanti in coerenza con il nuovo paradigma organizzativo e didattico delle scuole

? Dare pertinenza (!) alle competenze richieste ai docenti con il trasferimento alle scuole di nuovi poteri e funzioni tecniche, organizzative e didattiche

La traduzione degli obiettivi generali in modalità attuative, però, suscita molte perplessità. In effetti una vera autonomia delle scuole non può esistere in presenza di uno stato giuridico di carattere sostanzialmente impiegatizio se non si passa ad una figura di professionista, capace di vera responsabilità per i risultati, ma questo non può significare che non si tratta di “rapporto di lavoro” e che tutto va ricondotto (non solo gli indirizzi e le norme generali sulla funzione e sulla professione) all’esclusiva competenza del meccanismo legislativo.

Non abbiamo mai nascosto critiche, anche pesanti, all’operato degli stessi sindacati confederali nelle varie fasi di gestione dei contratti collettivi dei lavoratori della scuola. Ma non pensiamo che si possa e si debba rendere quasi pleonastico il ruolo e la funzione del sindacato trasferendo totalmente alla riserva di legge le modalità di esplicazione della funzione docente, tutta descritta rigorosamente nelle norme per la definizione dello stato giuridico.

Non abbiamo mai pensato –a differenza di certe posizioni estremiste in senso egualitario presenti nella categoria- che gli insegnanti debbano essere todos caballeros senza alcuna possibilità di “carriera”, se non quella di cambiare professione e concorrere per le qualifiche di dirigente scolastico o dirigente tecnico. Conseguentemente ci sembra utile una proposta che preveda un’articolazione della carriera dei docenti, con retribuzioni differenziate, in tre livelli : docente iniziale, ordinario ed esperto senza alcuna sovra ordinazione gerarchica. Ma su questo punto specifico e sulle modalità previste dal ddl torneremo in seguito.

Molte perplessità suscita, invece, l’istituzione della vice dirigenza delle istituzioni scolastiche, soprattutto perché a tale funzione si dovrebbe accedere mediante procedure concorsuali per titoli ed esami : in questo caso non si tratterebbe più di una articolazione della funzione docente, ma di altra cosa (uno strano animale pedagogico non meglio definito) che somiglia alle cosiddette alte professionalità invocate dall’ANP.

Il fatto di affiancare il dirigente scolastico con figure professionali di supporto nella conduzione di istituzioni scolastiche sempre più complesse e difficili da gestire di per sé non può che essere positivo e da incentivare (basti pensare, a questo proposito, alle difficoltà in cui versano ad esempio molti istituti comprensivi). Ma se il vicedirigente è una figura di staff, non si vede perché non debba essere il dirigente scolastico a scegliere il proprio collaboratore, con un incarico specifico. Se invece fosse, come par di capire, un’ulteriore articolazione della professione docente (docente esperto con titolo) non si capisce perché non debba essere il Collegio stesso a decidere le proprie forme di rappresentanza e di espressione. Non si ravvisa in altre parole la necessità di altre figure intermedie “sovraordinate gerarchicamente” che potrebbero piuttosto generare non pochi problemi di “coesistenza” all’interno dell’istituzione scolastica (cosa succede se dirigente e vicedirigente non “vanno d’accordo” e non collaborano proficuamente? E se il vicedirigente, che è pur sempre una articolazione della figura docente, non è in sintonia con il Collegio che lo avverte come un’altra figura “estranea”?).

Il ddl sceglie di definire “consiglio di amministrazione”, affidandone la presidenza al dirigente scolastico, l’organo di governo dell’istituzione scolastica. Le parole, si sa, sono cariche di ombre, per cui la definizione può prestarsi a malevole considerazioni, anche se, in fondo, i poteri del nuovo organismo non sono molto più penetranti di quelli attualmente assegnati ai consigli di circolo/istituto. Stupisce, piuttosto, l’esclusione (a conferma della volontà di ghettizzazione del personale ata) di qualunque rappresentanza del personale di segreteria,tecnico ed ausiliario mentre sono presenti docenti, genitori, studenti ed enti locali.

Opportuna sembra l’istituzione di un nucleo di valutazione del funzionamento dell’istituto, anche se restano ancora oscuri i meccanismi di funzionamento e gli effettivi poteri.

Curiosa appare la previsione di un organo di valutazione professionale che dovrebbe occuparsi di standard, prestigio(!), immagine(!), promozione (!) che dovrebbe addirittura arrivare a catalogare ”coloro che non possono essere definiti insegnanti”.

Sulle modalità di formazione degli insegnanti occorrerà un approfondimento della questione, anche in raccordo con le determinazioni delle istituzioni universitarie. Non sufficientemente fondato ci sembra l’eclettismo metodologico assicurato alla funzione docente. Se è vero che non può esistere una metodologia di stato non può esserci, però, indifferenza assoluta rispetto alla scelta libera di qualsivoglia metodologia didattica.

Il “concorso di istituto” sembra una trovata propagandistica, che, absit inuria verbis, fa il paio con il famoso vigile di quartiere. Immaginiamo cosa potrebbe succedere se 10 mila istituzioni scolastiche bandissero autonomi concorsi ?

Molto opportuna, invece, ci sembra la scelta coraggiosa (e in controtendenza rispetto alle resistenze sindacali) di affidare al dirigente scolastico la presidenza delle commissioni di valutazione per il passaggio di livello degli insegnanti. I detrattori di questa scelta potrebbero, però, trovare alimento in uno scivolone contenuto nella relazione introduttiva nella quale si dice che gli attuali collaboratori del dirigente – compreso il vice- sarebbero scelti dal dirigente stesso senza criteri di competenza e di merito professionali.

Una prima provvisoria conclusione : il ddl Aprea è un testo con luci (poche) ed ombre (molte). Occorrerà seguire attentamente il dibattito parlamentare perché, comunque, si tratta di un tentativo organico di ridisegnare l’organizzazione complessiva delle istituzioni scolastiche