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ScuolaOggi-Perché non si riformano le superiori

Perché non si riformano le superiori Se dopo tanti tentativi, anche la riforma Moratti è destinata a non essere operativa, allora una riflessione più profonda va pure fatta. Il sistem...

22/10/2005
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ScuolaOggi

Perché non si riformano le superiori
Se dopo tanti tentativi, anche la riforma Moratti è destinata a non essere operativa, allora una riflessione più profonda va pure fatta.
Il sistema paese e il sistema imprese, non spingono verso un rinnovamento apprezzabile; il sistema politico sulla scuola è largamente debole; il corpo insegnante non è in grado di riformare se stesso.
Unica variante sono le indicazioni europee e una politica, si spera dell'Ulivo e dell'Unione, processuale che sappia mescolare iniziativa dal basso e dall'alto.
Dal basso, affrontando il problema della carriera insegnante, l'organizzazione del lavoro, l'area di staff, le opzioni tempo parziale e full time, gli incentivi per riconoscere ad un 20% di insegnanti una carriera diversa.
Dall'alto, per praticare le indicazioni europee. In modo particolare fondando un sistema superiore non universitario delle professionalità (canale esistente in tutti i paesi europei tranne l'Italia, almeno credo) che nobiliti l'istruzione tecnica e professionale, certo non riconducibile al risibile processo degli IFTS, peraltro a bando FSE. In altri termini si tratta di imporre all'università di avere un canale parallelo non accademico. Scelta politica non del tutto indolore.
E poi le scelte europee implicano la diffusione di un sistema di formazione continua e permanente dei lavoratori, la famosa long life learning, con una gestione dei permessi triennali che vada oltre le 150 ore, e vada oltre le risicate percentuali sugli addetti. Le relazioni industriali e i relativi finanziamenti piubblici sapranno andare in questa direzione?
Il sistema dell'educazione degli adulti, in cui un ruolo non marginale avrà la formazione a distanza, necessità di fortissime incentivazioni. La situazione ad oggi è che chi ha già formazione se ne da di più, chi non ne ha rischia processi di analfabetismo di ritorno. Siamo alla fin fine alla riproposizione più classista delle barriere sociali e culturali.
Certo bisogna poi riempire di contenuto il biennio unitario in integrazione con la formazione professionale e l'obbligo a 16 anni. Ad oggi i bienni non sono unitari. Ad oggi abbiamo una autocanalizzazione sociale e culturale a partire dal primo anno della superiore.
Il biennio più specialistico è quello del liceo classico, con latino, greco e, se non erro, filosofia. Al polo opposto il biennio dei professionali, con analoghe materie di indirizzo, ma di tipo industriale o economico commerciale. E' quindi chiaro che le uniche materie effettivamente comuni sono italiano, inglese, storia, matematica, scienze integrate (e non sto qui a scinderle nei microrivoli della secondaria tra geografia, scienza della terra, biologia, chimica, fisica). Certo abbiamo queste poche materie, che poche devono restare, e poi una materia di indirizzo da decidere.
Ma il problema più serio che abbiamo in Italia è se ci sia un curricolo flessibile e opzionabile dagli studenti (certo con il limite di riprodurre differente sociali e culturali), oppure un curricolo sostanzialmente rigido. Curricolo a scelta significa che il gruppo classe non c'è più, che gli insegnamenti sono modulari (come impianto oltre che come orario), che tale organizzazione va resa funzionale con le disponibilità dei docenti, etc.. Io sono per questa opzione che consentirebbe di parlare di poli territoriali e di mescolanza delle utenze. Superando, evidentemente in parte, il fatto ovvio e risaputo che chi studia bene e astrattamente frequenta il liceo, e chi studia poco e praticamente fa il professionale. Nelle scuole europee tale approccio è largamente applicato (penso alla Svezia e non solo) e convive con una vocazionalità degli istituti, verso la cultura generale, quella tecnica, quella professionale.
Sono consapevole che questa non sia l'unica soluzione, che ci siano tante controindicazioni. Sono soprattutto convinto che le utenze deboli richiedono un ragionamento a parte e più approfondito. Ma certo non si può disegnare una riforma sulle utenze deboli. Ogni tanto bisogna pensare alla generalità degli studenti. E magari alle eccellenze.
E' forse la rivoluzione per gli insegnanti e la scuola. Probabilmente serviranno passi intermedi. Vogliamo provarci?
Rodolfo Rossi


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