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ScuolaOggi: Riordino degli istituti tecnici e professionali: cade lo slancio innovativo

Nonostante da più parti si chieda un ragionevole rinvio, il Ministero intende tirare dritto perché all’avvio della riforma al 2010 sono connessi rilevanti tagli alla spesa.

29/10/2009
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ScuolaOggi

Il Ministero ha presentato alle parti sociali il percorso di attuazione del riordino dell’istruzione tecnica e professionale. È stata confermata la volontà di partire dal prossimo anno scolastico. Una decisone piuttosto improbabile visto che mancano ancora i pareri di fondamentale importanza (Conferenza Unificata Stato Regioni, Commissioni Parlamentari, Consiglio di Stato). Come tutto questo complesso percorso – non dimentichiamo le decisioni che dovranno prendere le Regioni per la nuova programmazione territoriale dell’offerta formativa - possa concludersi in tempi utili per le iscrizioni risulta un mistero per tutti.

Nonostante da più parti si chieda un ragionevole rinvio, il Ministero intende tirare dritto perché all’avvio della riforma al 2010 sono connessi rilevanti tagli alla spesa.
La disattenzione ministeriale nei confronti delle scuole e nei confronti degli studenti e delle famiglie, che dovranno scegliere senza supporto sufficiente di informazione e orientamento, evidenzia come non siamo più di fronte ad un rilancio dell’istruzione tecnica e professionale, ma ad una sostanziale riproposizione dell’esistente, peggiorato da una pesante riduzione delle risorse.
Ciò è confermato anche dalla tendenza in corso a frammentare i previsti 11 indirizzi dell’istruzione tecnica – limitati e ampi secondo l’originario progetto innovativo – attraverso l’introduzione di opzioni destinate ad aumentare considerevolmente gli indirizzi effettivi. Secondo lo schema di regolamento presentato dal Ministero sono già diventati 19: gli indirizzi originari sono scomposti e si aggiugono opzioni come automazione, chimica e biotecnologie ambientali e sanitarie, calzature. Ma da 19 potrebbero diventare 31 se venissero accolte le ulteriori 12 articolazioni opzionali proposte e attualmente al vaglio del Ministero. La tendenza è purtroppo chiara, l’azione dei diversi gruppi di pressione sta facendo rientrare dalla finestra delle opzioni quello che era uscito dalla porta di un riordino che doveva abbandonare la logica della professionalizzazione specifica, per formare professionalità ampie, fondate su una più solida formazione di base, culturale e professionale. I profili professionali rispondenti allo sviluppo dell’innovazione sono infatti caratterizzati da alta specializzazione e rapida trasformazione. Non servono pertanto specializzazioni precoci e profili professionali rigidi, perché non potranno durare immutati per tutta la vita lavorativa.
Un altro freno al rilancio dell’istruzione tecnica e professionale è rappresentato dalla rinuncia a costruire un biennio obbligatorio, unitario e orientativo, per tutta la scuola secondaria superiore. La riforma della secondaria della Gelmini ripropone una scelta a 14 anni tra percorsi di istruzione con identità molto definite (licei, tecnici, professionale) e tra istruzione e formazione professionale. Le scelte continueranno così ad essere in gran parte determinate dal rendimento scolastico/provenienza socio-culturale dei ragazzi alla fine della terza media: gli studenti con migliori risultati continueranno ad essere attratti dai percorsi liceali, riservando a quelli tecnico-professionali gli studenti con maggiori difficoltà.
Complessivamente siamo di fronte ad un progetto interrotto. Si è perso il legame con la politica industriale a favore dell’innovazione: il progetto del Ministro Bersani "Industria 2015" è definanziato e depotenziato.
È caduto il trattino – strategico per il rilancio unitario del settore tecnico-professionale - e i professionali sono confinati ad un ruolo residuale, depotenziato e scarsamente distinto dalla formazione professionale regionale (sussidiarietà e surroga). Stanno cadendo gli indirizzi "limitati e ampi", cui era connessa la riduzione di orario a 32 ore, tornano le terminalità troppo rigide e specialistiche. Si abbassa la formazione di base anche su discipline rilevanti per le diverse professionalità (perdono ore diritto, economia, lingua straniera). Si riducono gli orari dei laboratori con buona pace per la valorizzazione della didattica laboratoriale, per progetti e soluzione di problemi. Assente anche un piano di formazione dei docenti. È sempre più in ombra il nesso con i poli settoriali dove si dovrebbero programmare e realizzare i percorsi formativi per le professionalità specifiche richieste dai territori e dai settori, attraverso l’interazione con la formazione professionale, l’istruzione tecnica superiore, l’università e la ricerca.
Eppure il mondo del lavoro avverte con forza l’esigenza di percorso tecnico-professionali forti e qualificati, rispondenti alle esigenze di innalzare le competenze professionali delle persone e di sostenere il riposizionamento del nostro sistema produttivo nella direzione della qualità e dell’innovazione. Una parte delle imprese infatti sta innovando, si riorganizza e si internazionalizza, ma una larga parte del nostro sistema produttivo è in forti difficoltà, specie le imprese troppo piccole e con specializzazioni produttive tradizionali.
Stiamo così perdendo anche questa occasione di rilancio dell’istruzione tecnico-professionale per la stessa ragione per cui il governo galleggia sulla crisi; non ha alcun progetto su come tornare a crescere. Oscilla tra il protezionismo statalista di Tremonti e i rigurgiti neo-liberisti di Berlusconi, ma si rifiuta di affrontare i limiti strutturali del nostro sistema produttivo. Affrontarli significherebbe per il governo chiedere al proprio blocco sociale di riferimento di cambiare, ma questa è un’impresa a quanto pare impossibile per la destra populista italiana.
Il riordino dell’istruzione tecnico-professionale può ritrovare lo slancio innovativo solo con una diversa politica economica orientata all’innovazione e fondata sullo sviluppo della ricerca e l’innalzamento della qualità del capitale umano. Se avrà come riferimento non il sistema produttivo come è oggi – con competitività e produttività declinanti – ma come deve diventare, anche grazie allo stimolo che un sistema formativo più qualificato può offrirgli.
In un paese normale si potrebbe proporre al governo di fermarsi per confrontarsi con il mondo della scuola e del lavoro, per trovare un’intesa su pochi punti fondamentali con l’opposizione per non sprecare anche questa occasione…

Fabrizio Dacrema