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ScuolaOggi: Un passo falso L'Istruzione tecnica e professionale nel documento della Commissione ministeriale

Antonio Valentino

04/04/2008
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ScuolaOggi

Il documento "Persona, tecnologie e professionalità", elaborato dall'apposita Commissione Ministeriale per la riorganizzazione dell'Istruzione tecnica e professionale (ufficialmente presentato dal Vice Ministro Bastico agli inizi del mese), si presta ad una serie di considerazioni da riprendere e approfondire nei mesi prossimi, in vista delle scelte sul secondo ciclo che si spera la prossima legislatura vorrà assumere come prioritarie.

Eccole in estrema sintesi
1. Il rilancio dell'istruzione tecnica da parte del Ministro Fioroni è stato una scelta certamente opportuna, soprattutto dopo la licealizzazione a tutto campo della Moratti e gli esiti dell'indagine PISA per le materie scientifiche e tecnologiche. Costituisce quindi un importante titolo di merito del suo Ministero del quale gliene va dato atto.
Ciò riconosciuto, va però anche aggiunto che tale rilancio ha senso se va affrontata contestualmente anche la riorganizzazione dell'istruzione liceale che è ferma, per molti versi, ancora al modello gentiliano e necessiterebbe quindi di un riordino profondo; proprio all'insegna di quel "nuovo umanesimo", di cui si parla nelle "Indicazioni per il curricolo del primo ciclo", opportunamente visto come frutto di "una nuova alleanza tra scienza, storia, discipline umanistiche , arti e tecnologia".
E', questa, una prima importante consapevolezza che ci è stata richiamata recentemente anche da Maurizio Tiriticco in un contributo sul tema e che dovremmo custodire, in vista di una ripresa di discussione in proposito.
2. Quanto al Documento della Commissione per la riorganizzazione dell'Istruzione Tecnica e Professionale e ai suoi contenuti, pur con una serie di "se" e di "ma", penso si possa dire che il risultato dell'operazione della commissione non sembra convincente.
Le distinzioni che si propongono tra le due tipologie di Istruzione, mi sembrano piuttosto nominalistiche e rimandano ad una idea di scuola in cui si riproducono le vecchie separatezze tra una istruzione, quella degli Istituti Tecnici, a valenza prevalentemente teorica; e una istruzione, quella degli Istituti professionali, a valenza soprattutto pratica.
Ma la ricerca psicopedagogica degli ultimi decenni non era approdata alla circolarità del sapere e del fare e al nesso teoria - pratica? Che senso ha allora riproporre un riordino dell'Istruzione Tecnica tutto centrato sulla ricerca e l'innovazione tecnologica e dell'Istruzione Professionale tutto centrato sull'applicazione pratica?
Nelle direttive del Consiglio europeo di Lisbona, questo principio - come si ricorderà - era chiaramente espresso: "… Non ha più senso parlare di scuola 'teorica' e formazione pratica; ha invece senso assumere il meglio degli strumenti didattici legati all'apprendimento di quelle conoscenze che si potrebbero definire 'conoscenze sperimentali' e 'nozioni materiali'… " (marzo 2000). E allora?
3. Appare evidente, da questo punto di vista, il limite culturale dell'elaborazione; limite del quale la Commissione era senz'altro consapevole. Lo si capisce da tutti i passaggi in cui, dopo aver ribadito per ciascuna tipologia l'elemento di distinzione, si recupera subito dopo lo specifico dell'altra e lo si propone in forma di appendice . Un esempio per tutti. Quando si parla di missione dell'Istruzione Tecnica, il riferimento specifico è alle "capacità necessarie per comprendere criticamente le problematiche scientifiche e storico-sociali collegate alla tecnologia ….". Ma, a conclusione del periodo, si aggiunge, " favorendo l'acquisizione di una perizia applicativa e pratica… " (corsivo mio). E così, per la missione dell'Istruzione Professionale, si evidenzia preliminarmente l'elemento distintivo parlando di "capacita operative di progettazione e realizzazione di soluzione per la gestione dei processi". Però subito dopo si aggiunge: "Tali capacità vanno inquadrate in una adeguata conoscenza dei fondamenti scientifici e tecnologici". Si potrebbero citare diversi altri esempi.

4. Un altro limite che vedo in questa operazione consiste nell'aver voluto ignorare il fatto che nel corso degli ultimi quindici anni, a partire dal "Progetto '92" degli Istituti Professionali, le due tipologie di Istruzione si sono venute sempre più avvicinando.
Anche questo dato era perfettamente noto alla Commissione.
Perché si è voluto allora arrivare ad una proposta così in controtendenza?

Come in molti altri casi del genere, probabilmente il difetto mi sembra debba essere cercato nel manico.
E cioè nel mandato ministeriale alla Commissione più o meno riassumibile nei seguenti termini: tenere distinti le due tipologie di Istituti, evitando una ristrutturazione unitaria che pure sembrava privilegiata nella prima ipotesi ministeriale confluita nella Finanziaria 2007. In essa si parlava infatti di istruzione tecnico - professionale (col trattino) e si lasciava intuire che si volesse procedere nel senso di un superamento della distinzione tra i due ordini di scuola. Superamento che nessuno pensava (e pensa) dovesse escludere né "curvature" particolari (nel senso di presenza, nel corso del triennio terminale, di percorsi formativi caratterizzati in un senso piuttosto che in un altro e compresenti nello stesso Istituto); né attenzione a specificità territoriali socio-economiche che, nell'opinione diffusa, si pensava (si pensa) di recuperare - come i percorsi paralleli di cui sopra - attraverso le opportunità/possibilità dell'autonomia.

5. C'è un altro elemento che mi sembra sia stato trascurato dalla Commissione: il contesto di riferimento (nel senso delle caratteristiche degli studenti a cui la nuova proposta viene fatta). L'indicazione di traguardi così ambiziosi mi sembra obbedire ad una logica che vuole ignorare il principio di realtà. Non si tratta ovviamente di tendere ad abbassare i livelli di istruzione specifica - lungi da me un tal pensiero - ma semplicemente di fissare traguardi compatibili sia con le potenzialità reali di giovani che vanno dai 14 ai 18 anni, sia di una idea realistica di futuro. Si provi a rileggere, ad esempio, quanto si dice sul profilo in uscita dall'Istruzione Tecnica; a proposito del quale si parla, manco si trattasse aspiranti ingegneri della NASA, di "conoscenze teoriche e applicative spendibili in ampi contesti di studio …, nonché [di ] una gamma di abilità cognitive necessarie a risolvere problemi (…) in ambiti caratterizzati da innovazioni continue, …". Una maggiore sobrietà - e soprattutto la promozione di una coerente azione didattica volta a raggiungere realmente gli obiettivi che ci si dà e a monitorarli - gioverebbe a tutti: agli studenti, ai docenti, al sistema.
(Più credibile - mi sembra - il profilo degli IP che potrebbe ben valere anche per l' Istruzione Tecnica. E sarebbe questa già una bella indicazione di lavoro per l'intero settore dell'Istruzione Tecnica e Professionale).

6. C'è anche un altro aspetto del Documento che corre sotto traccia, ma che si coglie bene a lettura conclusa. E che pone interrogativi di natura, per così dire più politica.
L'ho colto soprattutto nelle distinzioni marcate tra i due tipi di istruzione - che pure si dice di voler riorganizzare in termini innovativi - che ho letto come un segnale di paura della Commissione (del Ministero?): la paura di mettere insieme gli studenti degli Istituti Tecnici con quelli degli Istituti Professionali; quasi il timore di mescolanze socialmente inopportune, che potrebbero nuocere al rilancio dell'Istruzione tecnica. Una lettura "eccessiva"?
Comunque, mi sembra non sia stato adeguatamente considerato il rischio, che si corre con l'ipotesi configurata, di andare a riproporre un modello di scuola e di società che non appare dissimile, per il nostro Paese, da quello che viene fuori da tutte le rilevazioni internazionali degli ultimi anni. Di una società cioè caratterizzata da immobilismo sociale e da una scuola che non garantisce uguaglianze di opportunità formative.
E' in ogni caso evidente il rischio della riproposizione di un IP come scuola di serie B.

7. Una annotazione finale. Il documento prodotto presenta indubbiamente un elevato spessore culturale sul piano delle indicazioni che attengono al modello di scuola e alle strategie per realizzarlo. E di questo va certamente dato atto alla commissione. Tuttavia, le distinzioni pur eleganti e sottili (high tech vs high touch e tecnologia vs settori / contesti) e le riflessioni pur stimolanti sugli ambienti di apprendimento e sul "clima di laboratorio" - ma anche sul nesso tra innovazione e organizzazione del lavoro, certamente utili e importanti - non sono sufficienti per delineare uno sbocco veramente innovativo e avanzato; e quindi il risultato finale appare improbabile e intrinsicamente incoerente, oltre che culturalmente e politicamente debole.
Inoltre, rimangono in piedi tutti i nodi, questi sì veramente gordiani, del Titolo V della riforma costituzionale del 2001, che probabilmente sono la madre di tutti i problemi. E su questo, il discorso - urgente - è ancora apertissimo.