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Se la maturità è inattendibile

Per evitare di pagare le spese di missione al commissario, la composizione delle commissione è pensata da anni con il criterio della lesina. I maturandi giocano in casa, i commissari pure. L’elemento della discontinuità culturale tra aree diverse del Paese viene meno

01/08/2014
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Corriere della sera

Rosario Salamone

Potenza dei lampascioni. Solo così possiamo spiegare l’ennesima eccellenza dei ragazzi pugliesi sul resto degli studenti italiani che hanno conseguito la maturità quest’anno. A ruota la Campania, la Sicilia (effetto Nibali?), il Lazio e la Calabria. Una pioggia di cento e lode a levante, mentre la siccità caratterizza gran parte delle regioni centrosettentrionali, fatte le debite proporzioni. Che strano, appena a maggio, in occasione della presentazione dei dati Invalsi, emergeva il sostanziale equilibrio tra le performance degli studenti delle elementari nelle diverse regioni italiane, seguito purtroppo dall’aprirsi di un gap severo in italiano e matematica tra Nord e Sud del Paese nelle competenze degli studenti della scuola secondaria. Poi, a luglio, alla pubblicazione dei risultati della maturità, il ribaltone a cui da anni in verità siamo abituati. Che le teste d’uovo siano concentrate al Sud? Che Roma e il Lazio risentano fortemente della forza gravitazionale esercitata dalla Magna Grecia? Capacità di argomentazione e limpidezza di pensiero che emergono prepotenti a conclusione di un percorso di studi secondari, percorso costituito da segmenti valutativi da urlo negli ultimi tre anni di scuola superiore. Ogni anno il massimo dei crediti, comportamento eccellente, esame finale senza una sbavatura, senza aiutini di alcun genere. Quarantacinque/45 agli scritti, trenta/30 al colloquio, venticinque/25 di crediti precedenti, poi la standing ovation della lode. In Puglia di questi fenomeni ce ne sono stati settecento, ohibò!, nella nostra regione trecentoquarantotto, appena quarti, dicevamo, ai piedi del podio. Eppure questi dati non fotografano altro che la disgregazione del sistema valutativo, la sua arbitrarietà e inattendibilità. In primo luogo la regionalizzazione degli esami di Stato, anzi per la precisione la loro provincializzazione o, meglio, la loro municipalizzazione. Che senso ha che un professore che insegna al Tufello vada a fare il commissario a Corso Trieste e viceversa? Per evitare di pagare le spese di missione al commissario, la composizione delle commissione è pensata da anni con il criterio della lesina. I maturandi giocano in casa, i commissari pure. L’elemento della discontinuità culturale tra aree diverse del Paese viene meno. L’esigenza di severità e onestà intellettuale deve essere a fondamento del compito valutativo di qualsiasi commissario, ma il fatto di sceglierli a livello nazionale può contribuire a restituire un valore aggiunto alla maturità, annacquata com’è dal persistere di commissioni locali e localistiche. In secondo luogo non credo sia giusto precludere a nessuno studente ammesso a sostenere gli esami la possibilità di poter arrivare al massimo del punteggio. In questi casi si attinge all’esperienza e ai ricordi. Penso a Pier Guido Chiaramello, mio studente del liceo Tasso di tanti anni fa. Croce e delizia, soprattutto croce, dei suoi docenti. Lo ammettemmo a maggioranza alla maturità del 1978. Presiedeva la commissione Mario Rossi, insigne docente di filosofia dell’Università di Messina. Pier Guido scrisse un gran tema e fece un magnifico orale nelle materie umanistiche, nelle altre si arrangiò. Gli fu dato il massimo. Due anni dopo Pier Guido che amava arrampicarsi sulle Dolomiti cadde in cordata con altri compagni. Dove c’è freddo ci sono tante stelle.