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Secolo XIX: Riforma della scuola,l'Italia boccia se stessa

LA CIRCOLARE del ministro Giuseppe Fioroni, dal pomposo titolo "Nuove indicazioni per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione", si presterebbe a una facile ironia se lo stato della scuola italiana non fosse disastrato ben oltre il collasso.

05/09/2007
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Il Secolo XIX

LA CIRCOLARE del ministro Giuseppe Fioroni, dal pomposo titolo "Nuove indicazioni per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione", si presterebbe a una facile ironia se lo stato della scuola italiana non fosse disastrato ben oltre il collasso.
È sconsolante che un ministro si senta in dovere di informare il Paese che, alle elementari, i bambini devono imparare a leggere e a scrivere, a esprimersi in modo corretto e a memorizzare le tabelline (che questo, poi, serva a coltivare "una mentalità scientifica"è dubbio, ma l'esercizio è comunque utile). Può significare solo una cosa: sotto il cielo della scuola italiana, grande è la confusione e dunque, al contrario di quanto sosteneva il celebre aforisma di Mao Tzedong, la situazione non è affatto eccellente.
Non è chiaro quali siano i dati oggettivi che hanno spinto Fioroni a questo passo. È ragionevole pensare che qualche parte l'abbiano giocata i risultati dei test Invalsi, un metodo di valutazione dei livelli di apprendimento resuscitato dal precedente ministro, Letizia Moratti, raccolti da un campione di scuole elementari e medie nell'ultimo periodo del governo di centrodestra. Se il richiamo per un ritorno ai fondamentali nell'insegnamento è così deciso, quei risultati devono essere stati sconfortanti.
C'è certo da preoccuparsi se, poniamo, si scopre che un buon numero di bambini alle elementari non riesce a distinguere un triangolo da un quadrato. Ma ancora più preoccupante è il fatto che la classe politica italiana sembri incapace di avere un approccio complessivo al problema della scuola. Piuttosto che ragionare, maggioranza e opposizione insieme, su un modo per uscire dalla forse più drammatica emergenza italiana, preferisce affrontare di volta in volta un dettaglio, modificare un esame, rivedere un programma.
A partire da quella delle medie nel 1963, le riforme (decenti, ottime, imbarazzanti, applicate, abortite, solo proposte o subito dimenticate: ma tutte, si deve ritenere, ispirate dalle migliori intenzioni) al sistema scolastico sono numerose almeno quanto i ministri che si sono succeduti in questi 44 anni. Lo sfascio è tale che, oggi, le migliori università italiane non tengono in nessun conto, come criterio di ammissione, il risultato ottenuto alla maturità. È un altro modo per dire che i soldi investiti per 13 anni e tre cicli di studiosui ragazzi sono stati in realtà buttati via.
Il vizio sta all'origine. Nel '63, il primo governo di centrosinistra unificò le diverse scuole medie (riforma doverosa) lasciando intonsa l'impalcatura che Giovanni Gentile diede alla scuola italiana nel 1923. Quella costruzione concettuale era certo datata, fatalmente elitaria quando invece l'istruzione era diventata un fenomeno di massa. Ma aveva il merito fondamentale di costituire un sistema coerente. In tutti questi anni, nessun governo della Repubblica ha seguito un approccio simile. A guardare le macerie che oggi occupano il panorama scolastico italiano, vien da pensare che ogni intervento sia stato una picconata.
Dare un indirizzo coerente e coeso alla scuola, dalle materne alle superiori, è un'impresa fra le più difficili. Ma è quello al quale una classe politica degna dovrebbe dedicarsi. Non è necessario inventare. Basterebbe guardare in giro per l'Europa, con la serena consapevolezza che un sistema scolastico perfetto non esiste, che tutti presentano punti forti e deboli. E che alla fine l'importante è dare agli studenti un percorso concatenato, in cui i risultati ottenuti in ognuno dei tre livelli condiziona e determina le scelte in quello successivo. Funziona così in Gran Bretagna dove, a dimostrazione che tutto è migliorabile, hanno discusso per anni se sostituire il loro modello di maturità (gli A levels) con quello francese (il baccalaureat) e ora lo stanno introducendo.
È apprezzabile il tentativo di far uscire dalle elementari bambini che sappiano leggere, scrivere e far di conto. Ma il problema della scuola italiana non si ferma lì. E senza una buona scuola, il declino del Paese è ineluttabile.
Lanfranco Vaccari