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Sempre più giovani i laureati italiani

Più studiosi e più disponibili a lavorare lontano da casa.

30/05/2013
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La Stampa

A cura di Stefano Rizzato - Milano

Spinti forse dalla crisi, in pochi anni i giovani universitari sono diventati più zelanti. E riescono a strappare il titolo sempre prima. Lo rivela il quindicesimo «Profilo dei laureati italiani», presentato ieri dal consorzio interuniversitario AlmaLaurea. In che senso sono diventati più studiosi?

Oggi gli universitari frequentano molto di più di qualche anno fa, si laureano più giovani e vanno decisamente meno fuori corso. Considerando solo chi s’immatricola subito dopo la scuola, l’età alla laurea è passata dai 26,8 anni dei laureati 2004 ai 24,9 anni del 2012. Oggi servono in media 23,9 anni per prendere la triennale, 25,2 per la laurea magistrale 3+2, e 26,1 per la magistrale a ciclo unico.

Sono dati che variano in base alla facoltà?
I più giovani a finire la triennale sono i laureati in lingue (24,5 anni), insieme a quelli di ambito economicostatistico e agli ingegneri (entrambi 24,6 anni). Ci mettono di più gli aspiranti insegnanti (28,2 anni) e soprattutto i laureati in giurisprudenza, che in media ottengono il titolo a 30 anni. In questo campo, influisce molto la tendenza a lavorare durante gli studi: non a caso, ad avere un’occupazione a tempo pieno prima della laurea è meno del 5% di linguisti e ingegneri.

E per quanto riguarda i fuori corso?
Anche per quest’aspetto i dati sono confortanti. Nel 2001, a laurearsi nei tempi canonici erano poco meno del 10% degli studenti, mentre oggi sono il 41%. Particolarmente motivati e regolari sono i laureandi magistrali: il 48,5% di loro conclude gli studi in corso e un altro 32% lo fa al massimo con un anno di ritardo.

Quanti sono i laureati triennali che scelgono di proseguire gli studi?
Sono il 76%: 61 su 100 scelgono di fare una specialistica, 9 optano per un master, 6 per un altro percorso. Il dato di chi continua dopo il primo ciclo di studi è però in lieve calo rispetto a qualche anno fa. «È il prezzo pagato alla crisi - dice il professor Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea -. Tra chi prosegue gli studi sta diminuendo proprio la quota di chi viene da famiglie meno agiate».

È per questo motivo che c’è stato anche un calo delle immatricolazioni?
Non solo. È vero che in Italia sono andati persi quasi 60 mila immatricolati in meno di dieci anni, ma è accaduto per un insieme di fattori. «C’è prima di tutto una ragione demografica: oggi i 19enni italiani sono il 37% in meno di 25 anni fa - spiega Cammelli -. Però solo il 30% di loro si iscrive all’università e in questo senz’altro influiscono la crisi e il disagio delle famiglie a livello economico».

In tempi di disoccupazione giovanile galoppante, il nostro sistema non sforna già troppi laureati?
Tutto il contrario: per livello di formazione siamo in grande ritardo rispetto a gran parte dei Paesi sviluppati. Nel totale degli italiani tra 25 e 34 anni, i laureati sono solo il 21%, contro il 38% di media delle nazioni Ocse. «In questo paghiamo un ritardo storico - chiarisce Cammelli -. In Italia il 37% dei cosiddetti manager non ha più della scuola dell’obbligo. In Germania, il Paese con il quale tendiamo a fare i confronti, questa quota è del 7%. Eppure s’insiste a voler risparmiare sulla spesa per l’università».

Dove bisognerebbe investire?
Guardando il rapporto AlmaLaurea, si capisce che c’è molto da migliorare nel diritto allo studio, cioè in tutti i servizi che dovrebbero supportare gli studenti nel loro percorso universitario. A parte le mense, usate dal 55% di loro, e il prestito dei libri (sfruttato dal 39%), è solo una piccola minoranza degli universitari ad avere accesso al diritto allo studio. Le borse di studio riguardano il 22% degli studenti e gli alloggi universitari solo il 4%. Anche per questo, tre quarti dei ragazzi italiani finiscono per laurearsi nella stessa provincia in cui sono nati o in una provincia limitrofa.

Per quanto riguarda il lavoro, i laureati sono davvero troppo schizzinosi come disse l’ex ministro Elsa Fornero?
I dati dicono che i giovani hanno smesso da un po’ di essere «choosy», come disse appunto Fornero. Forse anche per questo quella dichiarazione fece così tanto discutere. Il rapporto mostra che c’è un’apertura sempre maggiore alla flessibilità lavorativa e il 44% di chi si è laureato nel 2011 si è detto pronto a trasferirsi pur di lavorare. Il 31% è disponibile a compiere trasferte frequenti per lavoro (31%). E aumentano anche la disponibilità per lavori part-time e contratti a tempo determinato.

Gli stage servono a qualcosa?
Sembrerebbe di sì: a parità di condizioni, il tirocinio aumenta la probabilità di trovare un’occupazione di ben il 12%. Tra i giovani freschi di laurea, ben il 56% ne ha potuto inserire uno nel curriculum. Tra chi si è laureato con l’ordinamento pre-riforma, nel 2004, la quota arrivava appena al 20%.