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Sinopoli: ‘Fare migliore la scuola’

"Sì al dialogo ma per cambiare"

17/12/2016
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Tuttoscuola

Orazio Niceforo

“Sì al dialogo, ma per cambiare”. Questo è il riassunto del pensiero sull’arrivo di Valeria Fedeli al Miur di Francesco Sinopoli, dal 2 dicembre scorso il nuovo segretario generale della Flc Cgil. Di anni ne ha 41 ed è nato a Soverato, in Calabria. Si è laureato in giurisprudenza a Bologna, ha poi conseguito il dottorato di ricerca in diritto del lavoro e delle relazioni industriali presso l’università di Bari. Sinopoli ha iniziato la sua attività sindacale nella Cgil di Bologna nel 2001 occupandosi di lavoro atipico a livello locale e poi nazionale, e collaborando su questa problematica, così importante anche nel mondo della scuola, con la Flc nazionale, della cui segreteria ha fatto parte dal 2010. Sinopoli è stato eletto dall’Assemblea generale del sindacato quale successore di Domenico Pantaleo, che avendo guidato la Flc per due mandati consecutivi non era più eleggibile: un regola voluta a suo tempo da Bruno Trentin e poi sempre osservata in casa Cgil.

Per una singolare coincidenza il suo avvento alla guida della Flc coincide con il cambio del ministro dell’istruzione, l’unico tra i ministri del governo Renzi a non essere stato confermato dal governo Gentiloni. Ritiene che siamo in presenza di una svolta nella politica scolastica del governo?
Noi ci aspettiamo che alla discontinuità delle persone corrisponda una discontinuità della politica: riconoscere gli errori sarebbe un buon segnale per restituire serenità alla scuola”.

Parla della legge 107, che il suo predecessore Pantaleo chiamava la legge della ‘Brutta scuola’?
Non solo. Il discorso è più ampio, e risale quanto meno alla riforma Brunetta del pubblico impiego. Da allora è in atto una tendenza, che si è riflessa anche nella legge 107, a privilegiare la dimensione tecnocratica e la funzione valutativa e decisionale delle varie dirigenze, compresa quella scolastica, in alternativa al coinvolgimento e alla partecipazione (che significa anche responsabilizzazione) di tutti i lavoratori.

Si riferisce alla questione della ‘chiamata’ degli insegnanti da parte dei dirigenti scolastici?
Sì, anche a quella, ma più in generale a una legge che è piovuta sulla scuola e sui suoi lavoratori, a partire dagli insegnanti, come una gabbia, senza cercare la necessaria condivisione degli obiettivi e degli strumenti. Eppure i segnali per il governo non sono mancati, dall’imponente sciopero unitario del 5 maggio 2015 alle 480.000 firme raccolte per sottoporre a referendum i punti principali della 107. Non sono bastate per fare il referendum, ma sono state un chiaro campanello d’allarme che il governo non ha voluto ascoltare”.

Vi aspettate che il ministro Fedeli cambi rotta in proposito?
Ci aspettiamo quanto meno una disponibilità ad ascoltare, e anche a capire che occorre collaborare per sterilizzare gli effetti negativi della legge 107.

Per cambiare la legge 107 nei punti che voi contestate servirebbe però un’altra legge…
Intanto qualche segnale di disponibilità a trattare è venuto dall’accordo che ha portato lo scorso 30 novembre a sbloccare i contratti del pubblico impiego, fermi da sette anni. In quel quadro possono essere cercate soluzioni contrattate – ripeto contrattate, cioè partecipate, condivise – che superino i limiti alla contrattazione stabiliti dalla legge Brunetta e presenti anche nella legge 107. Limiti che sono stati stabiliti per favorire un decisionismo normativo rivelatosi inutile e controproducente”.

Intanto però la legge vigente va applicata…
Ma se si apre un confronto a tutto campo non sulle questioni organizzative, cui si è applicata 107, ma sulle finalità della scuola, sulla sua qualità sociale, sulla sua capacità di affrontare e ridurre la disuguaglianza nella società italiana, allora può esserci spazio per rivedere norme che hanno svalutato il ruolo degli insegnanti, introdotto tramite la valutazione un vero e proprio controllo politico dei dirigenti e totalmente ignorato e, anzi, penalizzato il personale ata. Una riforma della scuola che non parla alla scuola e al suo personale è sbagliata”.

Servirebbe dunque una nuova legge…
Serve che si riapra nel Paese un grande dibattito, ma – ripeto – non sull’organizzazione, sui premi da dare alle cosiddette eccellenze (gli insegnanti migliori, le scuole migliori), che vengono peraltro individuate sulla base di ranking discutibili, che portano solo all’aumento della competitività e dell’individualismo: un modello che anche all’estero si è rivelato inefficace, e anzi dannoso. Il dibattito pubblico che noi auspichiamo tocca invece la mission della scuola, il ruolo protagonistico di tutti i suoi attori, insegnanti, dirigenti e ata. Se si andrà in questa direzione matureranno anche le condizioni per superare una legge evidentemente sbagliata”.

Pensate che l’attuale ministro, che ha un passato da sindacalista proprio nella Cgil, possa essere per voi un interlocutore più aperto di quello precedente?
Ritengo che il dialogo sarà più agevole con una persona, come Valeria Fedeli, che conosce le regole e l’importanza della contrattazione, ma voglio essere chiaro: il dialogo serve solo se porta al cambiamento”.    

Quali le cose più urgenti da mettere in agenda per la scuola?
“Nell’immediato: l’ atto di indirizzo per avviare il confronto contrattuale, l’accordo sulla mobilità che eviti le storture del famigerato algoritmo estivo della Ministra Giannini e consenta la domanda su scuola con meccanismi oggettivi, la riconduzione al negoziato di ogni aspetto del rapporto lavorativo (salario e organizzazione del lavoro), la restituzione ai servizi generali e amministrativi dei 2.020 posti di organico che sono stati tagliati dal Governo Renzi e la possibilità di sostituire il personale in malattia, il ripristino pieno della supremazia degli organi collegiali sull’organo monocratico in materia di PTOF e di didattica. Nella prospettiva: una riforma degli Organi collegiali che ridia alle autonomie scolastiche una vera capacità di rappresentanza istituzionale, un organico potenziato per il personale ata, l’eliminazione totale del precariato rispettando i diritti acquisiti. Ma soprattutto un investimento serio sulla qualità della scuola e in generale sull’istruzione: ricordiamoci che rispetto ai Paesi OCSE abbiamo un punto di PIL da recuperare (sono 17 miliardi circa)”.