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Sole 24 ore scuola-Gli equivoci della riforma-di Benedetto Vertecchi

Gli equivoci della riforma. Istruzione e formazione dopo l'approvazione degli ultimi decreti attuativi. "Sono evidenti le ambiguità del progetto. " di Benedetto Vertecchi Con il precisarsi del ...

15/06/2004
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Il Sole 24 Ore

Gli equivoci della riforma.
Istruzione e formazione dopo l'approvazione degli ultimi decreti attuativi.
"Sono evidenti le ambiguità del progetto. "
di Benedetto Vertecchi

Con il precisarsi del progetto governativo di assetto del sistema scolastico diventano sempre più evidenti le ambiguità sulle quali è fondato. Se ne è avuta un ultima riprova con i provvedimenti riguardanti il secondo segmento della scuola secondaria. E' stato annunciato, con un'enfasi del tutto sproporzionata alla reale portata innovativa delle soluzioni adottate, che finalmente sarebbe stata assicurata l'istruzione e la formazione a tutti i ragazzi fino ai 18 anni. Tralasciando il dettaglio che in realtà sarà possibile l'uscita anticipata di quanti, dopo la scuola media, si limiteranno a seguire un corso professionale di tre anni (che potrebbe essere completato già a 16 anni), occorre chiedersi: è lecito fare riferimento per designare l'attività istituzionale di educazione, all'istruzione o alla formazione, come se le due parole designassero offerte equivalenti, perché fondamentalmente rivolte allo stesso fine?

E' una domanda che ripropone una questione non nuova, perché radicata nei dibattiti e nelle polemiche, che hanno accompagnato lo sviluppo della scuola dopo l'Unità. In un primo tempo, il confronto vedeva schierati da un lato quanti ritenevano che la scuola dovesse prioritariamente istruire, dall'altro coloro che sostenevano che la priorità dovesse essere riconosciuta all'educazione intesa come trasmissione di valori. L'istruzione divenne una bandiera laica contrapposta all'educazione nella quale si riconoscevano i cattolici.

Con la riforma Gentile si è avuto uno slittamento della controversia dal piano ideologico a quello sociale: si offriva istruzione ai ragazzi appartenenti alle classi più favorite, mentre l'educazione (nel senso prima indicato, di trasmissione di valori) si riteneva più adatta al popolo.

Il termine formazione ha incominciato ad affermarsi negli anni Sessanta, quando ha avuto inizio in Italia la grande crescita scolastica che ha portato ad assicurare alla generalità della popolazione otto ama di istruzione. La fortuna della parola è derivata dalla possibilità che offriva, in un quadro di rapporti più distesi fra la cultura laica e quella cattolica, di superare dizioni connotate ideologicamente. Il fatto è che di formazione si è colto il significato gratificante, denso di implicazioni demiurgiche, quello di "dare forma", lasciando in secondo piano l'accelerazione più accreditata, quella che associa la parola all'aggettivo professionale.

Si è finito col qualificare come formativa qualunque tipo di proposta: su questa ambiguità si fonda l'affermazione secondo la quale all'educazione istituzionale fino ai 18 anni può provvedere il sistema scolastico o quello della formazione professionale. Eppure dovrebbe essere chiaro (e in effetti sembra che le famiglie l'abbiano capito immediatamente, spostando sui licei la scelta per il percorso dopo la scuola media) che la scuola e la formazione professionale operano seguendo logiche difficilmente compatibili.

La scuola tende a dotare i bambini e ragazzi di un corredo di competenze culturali che dovrà fungere da sostrato per le esigenze di adattamento che potranno presentarsi nel successivo corso della vita. Tali competenze non hanno dunque una finalizzazione immediata, com'è nel caso della formazione professionale, attraverso la quale si trasmette una competenza finale, e cioè pronta per essere utilizzata nel mercato d lavoro.

Nelle attuali condizioni di rapida trasformazione delle attività produttive, la formazione professionale ha finito col presentarsi come un'offerta ricorrente, per il fatto che le competenze inizialmente possedute debbono essere integrate, e a volte sostituite per far fronte alle nuove esigenze del sistema economico. Per questa ragione la tendenza prevalente, nei Paesi industrializzati, è quella che vede crescere la domanda di scuola, ossia di istruzione. Ed è a un'offerta di tipo scola che ci si riferisce quando si afferma la necessità di assicurare a tutti un'educazione istituzionale fino al compimento dei diciotto anni d'età.

Per come si presenta, la soluzione prospettata nell'ordinamento scolastico in corso di definizione in Italia va nella direzione contraria a quella prevalente negli altri paesi, per il fatto di richiedere una scelta (ma è veramente tale?) tra scuola e formazione professionale già a 13-14 anni. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte, più che a un disegno educativo, a una operazione di ingegneria sociale, che richiama mutatis mutandis quella operata dalla riforma Gentile, cui prima facevamo riferimento. Ai ragazzi appartenenti alle famiglie di più modesta condizione sociale si offre il percorso della formazione, lasciando agli altri quello dell'istruzione. L'esperienza anche italiana, ha mostrato che in campo educativo simili scelte sono destinate a essere travolte dalle caratteristiche che assume la domanda sociale. In pieno fascismo, un deputato non trovò di meglio, per commentare gli effetti della riforma Gentile sull'educazione del popolo, che citare il verso di Dante: "Perdete ogni speranza, o voi ch'entrate". L'assetto organizzativo della scuola gentiliana cadde sotto la pressione della domanda di istruzione.

Gli orientamenti che si stanno, manifestando da parte delle famiglie spingono verso la scuola: sarà, anche in questo caso, la domanda sociale a fare giustizia di un disegno educativo asfittico, perché tracciato prescindendo dalla consapevolezza dei cambiamenti in atto nella cultura e nella società."