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Stop all'aula che scoppia

Il Tar del Lazio boccia le «aule pollaio». Per la prima volta in Italia una class action contro la pubblica amministrazione ottiene ragione da un tribunale

23/01/2011
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il manifesto

Leo Lancari
ROMA
Stop alle cosiddette «aule-pollaio», le classi inzeppate di studenti costretti a fare lezione uno attaccato all'altro spesso ben oltre i limiti imposti per legge. A stabilirlo è stato il Tar del Lazio accogliendo la class action messa in atto dal Codacons contro il ministero dell'Istruzione. Per il nostro paese si tratta di una novità assoluta, visto che è la prima volta che un'azione di questo tipo viene mossa contro la Pubblica amministrazione. «Ora il ministro Gelmini dovrà emettere un piano in grado di rendere sicure le aule scolastiche ed evitare il formarsi di classi di 35-40 alunni ciascuna», spiega il presidente del Codacons, Carlo Rienzi. Per l'associazione dei consumatori, inoltre, la sentenza dei giudici amministrativi è destinata ad aprire nuovi scenari, come la possibilità per le famiglie i cui figli sono stati costretti a studiare in un'«aula pollaio» di chiedere un risarcimento (la cifra media considerata è di circa 2.500 euro), ma anche a trasformarsi in uno strumento di lotta per tutti quegli insegnanti precari che, dopo aver perso il posto di lavoro in seguito ai tagli alla scuola, adesso possono sperare di riottenerlo grazie alla possibile istituzione di nuove classi.
Una decisione, quella del Tar, che però non è piaciuta al ministro Maria Stella Gelmini. Dopo ore di silenzio, in serata un comunicato del ministero dell'Istruzione definisce infatti nulla la sentenza del Tar giudicandola basata su un ricorso «destituito di qualsiasi fondamento perché le classi con un numero di alunni pari o superiore a 30 sono appena lo 0,4% del totale».
Giudizi politici a parte, difficilmente adesso il ministero potrà ignorare la decisione del Tar. Dal punto di vista della giurisdizione, infatti, il tribunale ha risolto tutti i dubbi circa la possibilità che la legge Brunetta che istituisce la class action (entrata in vigore il 15 gennaio del 2010) vieti l'azione contro la Pubblica amministrazione. Rischio dovuto, spiega il Codacons, alla norma finale della legge che nega la possibilità dell'azione collettiva in assenza di una carta dei servizi per gli utenti. «Un altro articolo dello stesso provvedimento - prosegue il Codacons - spiega però che se il ministero non adempie a un obbligo imposto dalla legge, il ricorso non solo è possibile, ma il tribunale può ordinargli di colmare al più presto la lacuna».
E' il caso in questione. Già da tempo, infatti, il ministero dell'Istruzione avrebbe dovuto presentare il Piano nazionale nel quale indicare le classi per le quali sia possibile prevedere una deroga al numero massimo di studenti previsto per ogni aula, ma non l'ha mai fatto. Ora ha 120 giorni di tempo per provvedere, altrimenti il Codacons potrà ottenere la nomina di un commissario ad acta che colmi la mancanza.
La questione è delicata, perché riguarda sia la sicurezza di insegnanti e studenti che la possibilità per quest'ultimi di poter ricevere un adeguato insegnamento. Anche per questo le le norme relative all'affollamento delle aule parlano chiaro. Anche se il numero di alunni è uguale o inferiore a 25, per essere a norma una classe deve essere di almeno 45 metri quadrati, (1,80 mq procapite) per le scuole dell'infanzia, per le primarie e secondarie di 1° grado, e di almeno 50 metri quadrati (1,96 mq netti procapite) per le secondarie di 2° grado. Se poi invece dei metri quadrati si considerano le persone, un decreto - il n. 81 del 2009 - stabilisce i tetti massimi: 26 alunni (elavabili fino a 29) per la scuola dell'infanzia, 26 per la primaria (massimo 27), 27 per la secondaria di primo e secondo grado (con un massimo di 30). Non più di 20 ragazzi, invece, per le classi con anche alunni disabili. Non tutti gli istituti, però, sarebbero a norma, tanto che il Codacons segnala in un elenco consegnato al Tar ben 245 irregolarità.
«Il sovraffollamento riguarda prevalentemente la scuola secondaria di 2° grado e si lega soprattutto alle scelte e alle preferenze delle famiglie per alcuni istituti e sezioni», si giustifica il ministero dell'Istruzione, che ricorda di aver sempre considerato «una priorità» la questione della sicurezza degli istituti.