Tecnologia a scuola, Ocse: se è troppa, peggiora l’apprendimento
Gli esperti: servono qualità e preparazione degli insegnanti. Nelle scuole italiane un computer ogni 4,1 studenti. I 15enni italiani navigatori assidui, ma «perdono la rotta»
Il computer a scuola non basta, e se è usato troppo e male anzi fa danni. Lo dicono i dati Ocse in un rapporto su istruzione e competenze informatiche, basato su dati dell’indagine Pisa 2012, reso pubblico martedì. Ora che il «Digital divide» si è colmato e il 96% dei quindicenni del mondo ha accesso a un computer a casa, e 72 su cento usano un pc, un tablet o un laptop in classe, si è compreso che sarebbe meglio che i ragazzi non lo usassero troppo. Il principio è ben disegnato da una curva - spiegano i ricercatori -: i ragazzi che fanno un uso «moderato» del computer, per fare ricerche in Internet e come supporto per i compiti, ottengono risultati migliori di quelli che non lo usano affatto. Superata la soglia (che l’Ocse quantifica in «una-due volte a settimana») l’apprendimento è decisamente peggiore.
Gli investimenti non bastano
La dimostrazione? I Paesi che hanno investito di più in Ict negli ultimi dieci anni, non hanno ottenuto esiti migliori dai test che misurano le competenze dei quindicenni in lettura, matematica e scienze: è il caso di Australia, Gran Bretagna e Paesi nordici; mentre in Spagna i risultati sono addirittura peggiorati. E c’è di più: i maggiori investimenti in tecnologie non sono serviti a ridurre il divario sociale; che c’è ancora; non quantitativo, ma qualitativo. È molto più importante, spiegano i ricercatori nel corposo studio, che gli studenti raggiungano competenze solide in lettura e matematica.
Il fattore umano
«Per arrivare a una comprensione concettuale profonda e a un elevato livello di pensiero serve un’intensa relazione docente-insegnate», spiegano i ricercatori Ocse, che sottolineano l’importanza dello «human engagement» nell’insegnamento. La tecnologia, invece, spesso distrae. È anche una questione di preparazione:«Non ci sono ancore le pratiche pedagogiche, cioè la formazione degli insegnanti, per ottenere i maggiori benefici a livello accademico dalle tecnologie». Aggiungere strumenti del 21esimo secolo a pratiche di insegnamento del 20esimo diluisce l’efficacia di quello che viene insegnato ai ragazzi. «Se gli studenti usano lo smartphone per copiare è improbabile che questo li aiuti a diventare più “smart». Le tecnologie, è il messaggio, possono valorizzare il lavoro dei buoni insegnanti, non sostituire quelli cattivi.
La quantità non basta
Anche per quanto riguarda Internet, farlo usare di più durante l’orario scolastico non porta necessariamente un miglioramento nelle capacità di utilizzo da parte degli allievi. «La quantità non basta, servono anche qualità ed esperienza», ha sintetizzato il ricercatore Eric Charbonnier, citando il caso di Paesi asiatici come la Corea o il Giappone, dove il tempo di utilizzo di Internet a scuola è molto ridotto (rispettivamente 11,3 e 11 minuti al giorno, contro una media Ocse di 41,9) ma i risultati degli allievi quindicenni nei test di comprensione degli scritti su supporto elettronico sono tra i migliori nell’organizzazione (secondo posto per la Corea e quarto per il Giappone). Per quanto riguarda i ragazzi italiani, risultano navigatori assidui, ma spesso perdono la rotta, perché manca la bussola e la scuola non aiuta a trovarla. I nostri quindicenni passano in media circa un’ora e mezza al giorno «online» e le loro competenze di lettura digitale (capacità di muoversi con senso critico e in maniera efficace tra ipertesti, reperire le informazioni utili, metterle in relazione) sono addirittura un po’ sopra la media Ocse (504 punti Pisa rispetto a 497) e sopra quelle di lettura «tradizionale». Però nella loro navigazione sono a volte «disorientati». Il loro punteggio in «navigazione digitale» è di 56 (su una scala da 1 a 100), uno dei più alti dell’Ocse, dove la media è di 48. ma . Ma scende a 49 (media Ocse 50) quando si tratta di navigare in modo mirato verso la risoluzione di un obiettivo preciso.
Navigare con intelligenza
«Non si tratta solo di avere le chiavi di accesso al web, che i ragazzi italiani mostrano di avere, ma anche della capacità di navigare in modo intelligente e proficuo», sostiene Francesco Avvisati, economista Ocse, co-autore dello studio. «Molti ragazzi, non solo italiani, dice Avvisati «non hanno la capacita» di dirigere la propria lettura, di dare giudizi sulla pertinenza di una pagina, sulla qualità di un’argomentazione. Cliccano su quello che si muove e non sono selettivi nella loro navigazione, non vanno in modo diretto verso l’informazione che cercano e dovrebbero poi mostrarsi consumatori critici dell’informazione online».
Il compito della scuola
Ciò che è importante, secondo gli esperti Ocse, è quindi soprattutto aiutare i giovanissimi ad imparare «l’uso pertinente» di Internet, ovvero a costruire il loro percorso in un ipertesto in modo «mirato» per ottenere l’informazione di cui hanno bisogno. Ciò richiede non solo di mettere loro a disposizione gli strumenti informatici e il tempo per utilizzarli, ma anche «un rilevante livello di preparazione degli insegnanti» su come gestire questo tempo in modo efficace. Lo studio «Studenti, Computer e Apprendimento» chiama in causa la scuola - non solo quella italiana - perché non riesce a trarre vantaggio dal potenziale offerto dalla tecnologia e dare a tutti gli studenti le competenze di cui hanno bisogno nell’iper-connesso mondo odierno.
I 15enni italiani
Nella Penisola il 99% dei quindicenni ha almeno un pc a casa (dati 2012, +2% rispetto al 2009 contro media Ocse 96%) e quasi uno su 3 ne ha almeno tre (+12,7%). In media ogni ragazzo a casa passa su internet 93 minuti al giorno durante la settimana, meno della media Ocse che è di 104 minuti e 97 minuti nel week end (138 Ocse). A scuola, in Italia, i pc sono pochi, solo uno ogni 4 studenti e solo il 66,8% degli studenti italiani riferisce di usarli contro il 72% medio Ocse. I minuti spesi online a scuola sono 19 (media Ocse 25). Ma non è un problema di quantità, quanto di qualità, sottolinea l’Ocse. Gli «internet-dipendenti», ovvero i ragazzi che stanno più di 6 ore al giorno davanti al pc a casa, sono il 5,7%, anche in questo caso fortunatamente sotto la media Ocse che è del 7,2% e in alcuni Paesi si avvicina al 10% (Danimarca, Olanda e Grecia) o lo supera (Svezia al 13,2%). E’ una categoria - sottolinea l’Ocse - ad alto rischio di solitudine, oltre che di assenze ingiustificate da scuola.