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Test d’ingresso a medicina. Bene abolirlo ma basta?

Alessandro FigàTalamanca. Docente di analisi matematica all’Università La Sapienza

22/05/2014
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l'Unità

Sembra eccellente l’idea della ministra della Pubblica Istruzione Giannini di sostituire il test d’ingresso alla Facoltà di Medicina con una selezione basata sull’esito della frequenza del primo anno di studi universitari. Se, come è probabile, conterà il superamento degli esami del primo anno (e non un test finale come è previsto in Francia) saranno scelti gli studenti più capaci negli studi scientifici e più disponibili a studiare seriamente. Diminuiranno quindi anche i ritardi nel conseguimento della laurea, una piaga della nostra università (una piaga che, a dire il vero, è già meno grave nei corsi di laurea a numero chiuso). Tutto a posto dunque? Ma perché allora questa soluzione non è stata adottata prima? Forse i precedenti ministri si sono occupati più dei problemi che stavano a cuore ai professori che li ispiravano che dei problemi degli studenti. Ma non è questa la sola ragione della loro inerzia. Il fatto è che non sarà facile adottare, in pratica, questa soluzione, che è semplice solo in teoria. Se il primo anno di Medicina sarà aperto a tutti coloro che hanno conseguito un diploma di maturità, il numero di matricole si moltiplicherà in modo imprevedibile. Nel 2014 per 10.500 posti disponibili si sono presentati più di 64.000 candidati. Dovremmo prevedere quindi che lo stesso numero di diplomati del 2015 si iscriverà al primo anno, ma a questi si aggiungeranno decine di migliaia di altri studenti che non sono riusciti a passare quest’anno o negli anni precedenti e che vorrebbero usufruire delle nuove norme per entrare a Medicina. Insomma gli immatricolati a Medicina per il 2015 dovrebbero essere tra i settantamila ed i centomila. Dove si troveranno le aule e i laboratori per ospitare tanti studenti? Dove si troveranno i docenti? Ma questo non è l’unico problema. Se dobbiamo scegliere per l’iscrizione al secondo anno di medicina uno studente su sette, tra i non scelti ci saranno sicuramente studenti che hanno sostenuto con successo un certo numero di esami, forse anche tutti gli esami, magari con un po’ di ritardo e qualche voto mediocre. Dobbiamo dire a questi studenti che gli studi che hanno compiuto non valgono nulla? Sembrerebbe invece necessario che gli studi compiuti possano valere per altri corsi di laurea, e non solo per quelli delle professioni sanitarie. Ma questo significa che si dovrebbe modificare l’ordinamento didattico di Medicina in modo da rendere il primo anno compatibile con il proseguimento degli studi in altre discipline, con convalida, almeno parziale, degli esami sostenuti. Bisognerà anche vincere le resistenze dei docenti di altre facoltà per indurli ad accogliere, senza troppi «debiti», gli studenti che hanno compiuto il primo anno a Medicina. Alla fine, la soluzione giusta dovrebbe essere quella di riservare il primo anno di Medicina alle materie scientifiche di base (matematica, fisica, chimica, biologia), che dovrebbero essere impartite dai rispettivi dipartimenti a tutti gli studenti il cui curriculum le richieda, indipendentemente dal corso di laurea di iscrizione. Per fare un esempio concreto (e basato sulla mia esperienza diretta), negli Stati Uniti il docente di «Calculus» (traducibile in Italia come «Istituzioni di Matematica») si trova di fronte studenti di Matematica, Fisica, Chimica, Ingegneria ed Economia, oltre ai «pre-medical students» che aspirano ad entrare in una facoltà medica. Ognuno di questi studenti utilizzerà i «crediti» dell’insegnamento di «Calculus» per la sua laurea. Un’organizzazione di questo tipo consentirebbe di utilizzare i docenti e le risorse di tutti i dipartimenti di discipline scientifiche per far fronte alle necessità del primo anno di Medicina. L’esempio di Medicina e delle discipline scientifiche potrebbe essere seguito anche da altri corsi di laurea. Si tratterebbe di rendere il primo anno universitario un percorso flessibile utilizzabile in ambiti diversi. Lo studente del primo anno, indipendentemente dall’esistenza di un numero chiuso, avrebbe modo così di valutare i suoi veri interessi, le sue capacità e la sua vocazione. Probabilmente il risultato sarebbe anche una diminuzione dei tassi di abbandono e dei ritardi. Stiamo parlando però di cambiamenti che incontrerebbero molte resistenze e necessitano comunque tempi lunghi. L’apparato ministeriale, l’agenzia per la valutazione, e, specialmente, il mondo accademico non sembrano pronti ad affrontare problemi di questo tipo e di questa portata, meno che mai in così poco tempo. Così c’è il pericolo che nel 2015 ci troveremo con un primo anno di medicina affollato al punto da rendere impossibile un insegnamento efficace ed una ragionevole valutazione del profitto degli studenti. Non sarebbe certo un miglioramento.