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Tutti i nodi della ricerca

Giovanni Bignami

03/01/2017
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la Repubblica

Anno nuovo, governo nuovo? Beh, forse non del tutto... Ma certo lo è almeno per quanto riguarda Università e Ricerca, con l’arrivo della ministra Valeria Fedeli. E per fortuna, perché i problemi della ricerca italiana sono lì da affrontare, non sono magicamente scomparsi durante la seconda metà del 2016, dominata da una innaturale campagna referendaria e dalla vana ricerca di una legge elettorale.

Oltre a una legge di stabilità 2017 ancora forse da completare per la ricerca, e a un Programma nazionale della ricerca anch’esso migliorabile, c’è un’altra ineludibile, e urgente, ragione di attenzione in questo campo. È collegata alla 43sima riunione del G7 (cioè G8, meno la Russia, messa in castigo) a maggio, a Taormina, con la presidenza di turno dell’Italia. In parallelo alla sua dimensione politica, il G7 prevede una dimensione culturale, gestita dalle Accademie dei sette paesi coinvolti, e cioè: Italia, Usa, Uk, Francia, Germania, Canada e Giappone. Il G7 delle Accademie, nato nel 2005 per iniziativa della Royal Society inglese e che vede l’Italia coinvolta per la seconda volta, si terrà a marzo, a Roma.

Per l’Italia, sarà l’Accademia dei Lincei, che copre alla pari cultura umanistica e scientifica, a presiedere questo speciale G7. Sarebbe proprio bello, con l’occasione, poter dare l’immagine di una nazione con un livello di ricerca all’altezza degli altri grandi, o almeno di quelli europei. Ed è possibile, anzi facile, farlo per quanto riguarda i risultati, eccellenti, finora ottenuti in molti campi da scienziati ed umanisti italiani.

Più difficile, per noi, sarà parlare del futuro, anche immediato. Per cominciare, abbiamo un problema di fondo, legato all’attuale Programma nazionale della ricerca, approvato con quasi tre anni di colpevole ritardo a metà dell’anno scorso e la cui attuazione deve ancora partire.

È ricalcato, punto per punto, sul programma europeo Horizon 2020, tutto centrato sulle applicazioni della ricerca. Cosa bellissima e politicamente ben spendibile, ma che ha un senso solo se esiste anche un programma di ricerca fondamentale, da far precedere a quello delle applicazioni. Per esempio, matematica o glottologia, non esistono nel nostro Pnr, cercare per credere. E proprio la Francia invece è l’esempio di come una grande nazione moderna “viva” sulla matematica. Ma gli strumenti per allocare le risorse al Pnr sono ancora da costruire, non è troppo tardi per completarlo. Anzi, l’attuazione del Pnr è proprio uno dei punti ad alta priorità politica individuati dalla ministra Fedeli.

La ricerca italiana ha anche un problema più concreto, legato alla legge di stabilità 2017-19, approvata in articulo mortis dal governo uscente. Forse è inevitabile (ma perché?) che le risorse fresche per università ed enti di ricerca siano praticamente inesistenti, ma si possono ancora dare segnali di incoraggiamento. Uno, facile, sarebbe quello di razionalizzare i rivoli di spesa sparsi in circa 140 enti (di qualità variabile) presenti in finanziaria. Un altro, quello di dar seguito alla promessa della ministra Giannini alla VII Commissione del Senato: mettiamo nel microonde i fondi surgelati dello IIT di Genova (più di 400 milioni), magari già con il milleproroghe?

A costo zero, sarebbe anche bello completare la finanziaria con una più esplicita attenzione alla discriminazione di genere, magari là dove parla della attenzione per i giovani ricercatori. È un problema sempre strisciante in Italia, anche perché non ben studiato, a differenza di altri paesi del G7, come Usa, Inghilterra o Germania.

Invece in Italia la discriminazione contro le donne esiste, e come, anche nella università e nella ricerca. Studiarla bene, quantitativamente, sarebbe un primo passo per capirla e poi avere strumenti mirati ed efficaci per combatterla. Partendo dalle scelte educative per le bambine. Per arrivare al problema dei professori ordinari donna (solo il 10% del totale) o, addirittura, al 6% dei soci donna nella Accademia dei Lincei.