Tutti i pasticci nella partita del posto fisso
di MAria Pia Veladiano
03/09/2015
la Repubblica
Premesso che che il governo si è trovato già ben confezionato il monumentale pasticcio di un precariato del personale della scuola cresciuto fra errori, colpe, piaggerie, consorterie, si deve dire che il meccanismo scelto per risolverlo paga la presunzione di voler chiudere subito e comunque il problema, recitando ritmicamente la parola magica del posto fisso, e in un contesto di crisi economica questa parola è riuscita a scatenare il peggio di noi.
Chi ha parlato di deportazioni a proposito degli insegnanti del sud assunti soprattutto al nord ha scagliato un’iperbole insana a cui altri hanno reagito con i luoghi comuni sciatti del razzismo: il solito sud lacrimoso mentre invece noi no, ma cosa si lamentano che vengono al nord nella mecca del bene e della legalità e i figli ringrazieranno Dio di non essere cresciuti fra mafia e fannullismo. E il peggio del paternalismo: ai miei tempi anch’io e anche mio zio e mio nonno. E il peggio del qualunquismo: ma se i ragazzi sono al nord vogliono trasferirli al sud per fare scuola nel loro giardino?
Questo tramaglio di chiacchiere è un pericoloso distrattore rispetto a errori importanti che la fretta di chiudere la partita della scuola ha favorito e che avranno effetto sulla qualità dell’insegnamento.
Ad esempio capita che chi ha avuto in questi giorni una supplenza annuale vicino a casa e intanto viene assunto in ruolo fuori provincia, possa prendere servizio nella sua sede fra un anno, con il paradosso di dover assumere insegnanti su sedi già assegnate, che è esattamente il vorticare di supplenti che si voleva evitare. Poi capita che a dispetto dell’abbondanza di assunzioni, molte cattedre in organico saranno vuote perché le graduatorie di quelle discipline sono esaurite mentre per altre graduatorie ci saranno docenti assunti ma senza cattedra e non è per nulla vero che ogni scuola può richiedere i docenti che le servono per il potenziamento dell’offerta formativa perché le saranno assegnati quelli rimasti dopo le assunzioni su posti effettivi per cui se una scuola vuole investire nel potenziamento della formazione scientifica non potrà visto che molte graduatorie di discipline scientifiche sono già esaurite, e così pure se vuole impegnarsi in progetti di internazionalizzazione. Se ha bisogno di docenti di inglese e nel suo ambito territoriale ci sono solo docenti di francese e tedesco non potrà farlo e basta.
Un meccanismo di assunzioni più progressivo distribuito in due o tre anni avrebbe impedito questo e anche evitato il paradosso che i docenti assunti per ultimi, per il potenziamento dell’offerta formativa, si debbano trasferire in misura molto molto minore rispetto ai colleghi con più punteggio che vengono assunti adesso. Ingiustizie forse non gravi ma che si aggiungono a un meccanismo di assegnazione alle province non abbastanza trasparente e al fatto che i neo assunti di questa fase hanno un’età media tale per cui non è sempre così facile partire da un giorno all’altro avendo insieme rispetto per la situazione familiare.
Per il resto, un lavoro (bello, questo sì bisogna ricordarlo) va accettato sempre, e non solo oggi perché c’è la crisi, con lo sguardo al futuro che non è solo il progetto di un trasferimento a casa tre anni dopo, ma è anche quel nuovo che il futuro promette, in termini di esperienza, di buone pratiche da scambiare, di sorpresa. La vita che sorprende, è un po’ questo che a scuola insegniamo. Che vivere di giorni subiti è non vivere. E intanto bisogna proporre, organizzarsi, farsi sentire.