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«Un’altra beffa, a settembre avrei avuto i requisiti per lasciare»

Nadia Marta, 62 anni compiuti a marzo, veneta ma da 35 anni a Roma. Insegna Scienze al liceo classico Augusto. È’ la presidente del Comitato «Quota 96».

05/08/2014
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Corriere della sera

La docente
Nadia Marta, 62 anni compiuti a marzo, veneta ma da 35 anni a Roma. Insegna Scienze al liceo classico Augusto. È’ la presidente del Comitato «Quota 96». Il numero sta ad indicare la somma tra età e anzianità contributiva utile per andare in pensione prima della riforma Fornero
MILANO — A ben vedere lo sconforto non viene mitigato neanche dal «mea culpa» dell’ex ministro del lavoro Elsa Fornero, che ha inviato una lettera assumendosi «tutte le responsabilità» ma segnalando loro come non fosse «un aspetto che le era stato fatto presente». Una riforma a sua insaputa e un gesto comunque apprezzato. Eppure dopo due anni di battaglie, audizioni in Parlamento, manifestazioni, proclami, cortei, soprattutto ore in classe a insegnare ai tuoi allievi il senso civico e il primato (presunto) della politica, stavolta pensava di avercela fatta: «A settembre — dice — avrei dovuto smettere di lavorare sanando un errore commesso tre anni fa». Lei è Nadia Marta, 62 anni (nata nella sfortunata classe 1952, lo spiegheremo poi), veneta ma ormai romana doc, docente di Scienze al liceo classico «Augusto». Ieri è arrivata la doccia fredda — sotto forma di diktat della Ragioneria generale dello Stato — che procrastina (per lei) di oltre due anni l’età della quiescenza. Non ci sarebbero le «coperture contabili» per consentire a Nadia e altri 3.975 docenti in tutta Italia (si era favoleggiato fossero 9mila, in realtà sono molti di meno) di andare in pensione come la legge prescrive. Sì, la legge. Perché la riforma previdenziale targata Fornero non ha considerato tre anni fa che l’unica finestra d’uscita per gli insegnanti è quella del 31 agosto, prima cioè che inizi un nuovo anno scolastico. Mettendo nello stesso calderone tutti i dipendenti pubblici/privati e calcolando l’anzianità contributiva secondo il solo calendario solare. Così chi è nato a fine 1951 è andato in pensione. Lei — che tre anni fa aveva 59 anni e 37 di contributi — non c’è andata perché non le è stato calcolato l’anno scolastico 2011-2012 in cui stava maturando la fatidica «quota 96». «Noi non siamo né esodati, né prepensionati — rivendica facendo intuire che qui non si tratta di chiedere una forma di sostentamento pubblico —. Siamo insegnanti che per un errore di forma non riescono ad andare in pensione pur avendo tutti i requisiti prima della riforma Fornero».
Potremmo definirla una commedia beckettiana dell’assurdo, in cui la politica fa una brutta figura e la burocrazia ministeriale ne fa una persino peggiore perché rileva l’incapacità di trovare 45 milioni di euro di risorse per mandare in pensione chi ne ha diritto. «In questi anni due proposte di legge si sono arenate per colpa di una politica assente: la deputata (Pd) Manuela Ghizzoni con la sponda dei Cinque Stelle aveva trovato le coperture. Peccato che quelle risorse si sono utilizzate a suo tempo per altro. A nostro discapito».
Fabio Savelli