Un’altra crisi sociale in arrivo: «Def, le risorse non bastano»
Il caso. Sindacati e Confindustria, divisi sulle soluzioni, criticano il governo. E il governo è incerto. Franco (Mef): ""Evitare che la gestione della crisi ci porti a crescere di meno". Ma il Pil sta rapidamente diminuendo e non ci sono strumenti per attutire l'atterraggio. La denuncia della Flc Cgil: "L'ultima follia: più soldi alle armi, tagli alla scuola"
Incoerente e insufficiente. Ottimistica e inadeguata. Incerta, parziale e intempestiva. A sentire Cgil, Cisl e Uil e Confidustria ieri nelle audizioni in seduta congiunta delle commissioni di Camera e Senato la politica economica delineata tra molte incertezze nel Documento di Economia e Finanza (Def) dal governo Draghi lascia perplesse e insoddisfatte tutte le parti sociali che hanno idee opposte su come rallentare la corsa del treno della crisi che sta sfondando i già fragili argini eretti nei primi quattro mesi del 2022. E i sindaci dell’Anci hanno aggravato la denuncia di quello di Milano Beppe Sala. Le risorse stanziate finora per fronteggiare l’inflazione e il caro bollette non riescono a coprire le spese. Questo può essere il colpo finale per le casse dei Comuni. Lo stesso hanno sostenuto le province (Upi).
ILLUMINAZIONE delle strade a parte, a rischio sarebbero le coperture dei servizi sociali. Gli oltre 15 miliardi di euro per calmierare il caro bollette di gas e energie, stanziati da tre decreti dal governo in questi primi mesi dell’anno, non sono stati considerati sufficienti. E nemmeno gli ulteriori 5 annunciati da diversi giorni sembrano rassicurare più di tanto. Ieri sera, durante la sua audizione, il ministro dell’economia Daniele Franco ha fatto due scenari: nel caso di un taglio totale delle forniture del gas russo la crescita del Pil, ora prevista al 2,9%, precipiterebbe allo 0,6%; nel caso più verosimile in cui ciò non avvenisse, Franco ha però prospettato un aumento ulteriore dei prezzi. Tra l’altro velocizzato da una fiammata inflazionistica che tende a essere strutturale.
LO SCENARIO è quello in cui ci troviamo mentre il governo non ha ancora ricevuto una risposta a livello europeo sul tetto all’importazione del gas, latitano le risposte sulla proposta di un fondo europeo analogo al «Recovery fund» per affrontare la nuova crisi. Sebbene il piano di «stabilità e crescita» resti sospeso l’esecutivo non intende stanziare ulteriori fondi come se la crescita fosse a portata di mano, domani.
IN UN PAESE sospeso tra inflazione e recessione, in attesa che la Banca Centrale Europea si sbilanciverso l’una o verso l’altra, la richiesta avanzata ieri è una politica fiscale, una dei redditi anche attraverso i rinnovi contrattuali chiesta dai sindacati o un taglio del cuneo fiscale (Confindustria). C’è poi la tassazione degli extra-profitti realizzati negli anni della pandemia da alcune imprese oppure un «contributo di solidarietà» sui redditi a partire da oltre un milione di euro chiesto dalla Cgil. In un clima pesante ieri aleggiava anche la richiesta di un nuovo scostamento di bilancio, avanzata da quasi tutte le forze della maxi-maggioranza che regge il governo Draghi. Una prospettiva esclusa da Franco secondo il quale, al momento, la politica di bilancio italiana è la più «espansiva» d’Europa.
«IL GOVERNO non sembra cogliere le straordinarie difficoltà dell’attuale situazione» ha detto Carlo Bonomi (Confindustria) – La Germania sta stanziando 100 miliardi di euro per sostenere le imprese attraverso linee di credito emergenziali, per compensare gli aumenti dei costi. Noi con il Def stanziamo 5 miliardi». Bonomi è contrario allo scostamento.
LE RISORSE «non sono assolutamente sufficienti per rispondere all’emergenza sociale che rischia di penalizzare le classi più vulnerabili. Chiediamo un nuovo scostamento di bilancio. Senza un aumento della spesa pubblica quegli impegni saranno lettera morta: dalle pensioni ai livelli essenziali delle prestazioni. In questo momento vanno date risposte nette» ha detto Giovanna Fracassi (Cgil), Si prospetta invece l’aumento di 15 miliardi delle spese militari per soddisfare un accordo Nato – questa è la denuncia di Flc Cgil – si tagliano gli investimenti sulla scuola 2022-2025. Si passa dal 4 al 3,5% del Pil, 7,5 miliardi in meno. È la logica ragionieristica dei tagli degli ultimi venti anni. Il timore diffuso ieri era l’aggravamento della crisi sociale attualmente silenziata. E si dà, nonostante la pandemia e la guerra, per scontato che un’improbabile ripresa del mercato rimetta in ordine tutto. È un progetto di società nel capitalismo delle policrisi.