Un altro anno senza il parlamentino della scuola Perchè la riforma degli organi collegiali è in alto mare
Una parola decisiva sul cspi si potrà avere con la fase 2 della riforma della scuola
Giovanni Scancarello
Troppo complicata la democrazia per la pubblica istruzione. Il governo rimanda ancora una volta a settembre l'elezione del massimo organo collegiale consultivo della scuola, il consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi). Ampliata di un anno anche la moratoria dei previsti pareri per gli atti adottati in sua assenza dal governo. È quanto stabilito dall'ultimo decreto milleproroghe. Si ricorderà la querelle (si veda Italia Oggi del 9 dicembre 2014) registrata a seguito della sentenza del Tar Lazio dell'ottobre 2013 che aveva condannato e commissariato il miur per inerzia nell'elezione del Cspi, previsto dal decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233 in sostituzione del consiglio nazionale della pubblica istruzione (Cnpi), soppresso nel 2012.
Dopo l'insediamento del commissario ad acta lo scorso maggio e un'ulteriore pronunciamento dello scorso novembre del Tar Lazio per l'emanazione dell'ordinanza prevista dall'art. 2, comma 9, del decreto 233 recante le scadenze e le modalità delle elezioni, il termine precedentemente fissato al 30 giugno dal decreto legge 90/2014 è stato adesso rimandato al prossimo 30 settembre dall'ultimo decreto legge 31 dicembre 2014 n. 192 (decreto milleproroghe). Rinviata al 31 dicembre 2015, sempre dal Milleproroghe, anche la validità degli atti adottati dal governo in assenza del previsto parere obbligatorio.
Sull'applicazione del dlvo 233/99, erano sorti problemi sin dall'inizio, proprio per la complessità tecnica dell'organizzazione delle elezioni, per cui all'epoca fu proposto all'ufficio legislativo del Mpi di procedere con il sistema delle elezioni di secondo livello, cioè con il suffragio dei grandi elettori individuati nei consigli scolastici locali, la cui nascita dipendeva dal consiglio scolastico regionale anch'esso introdotto dalla riforma del '99.
La vicenda si è avvitata in un circolo vizioso, il Cspi è rimasto solo sulla carta anche se nel decreto era previsto come fino all'insediamento dei nuovi organi collegiali sarebbero dovuti restare in carica quelli esistenti all'atto della sua adozione, ovvero il Cnpi, i consigli scolastici provinciali e distrettuali.
La scelta potrebbe essere quella di spingere sull'acceleratore delle reti che sembrano destinate a rappresentare l'articolazione intermedia tra scuole dell'autonomia e territorio preferita dai sostenitori, per così dire, della visione tecnocratica dell'autonomia. Se ne parla sin dai tempi del decreto semplificazioni del 2012 in cui si richiamano temi centrali anche oggi come l'organico funzionale.
Ma serve intraprendere una direzione chiara. Se bisogna investire sul profilo manageriale e amministrativo del dirigente scolastico, allora come si spiega il taglio degli esoneri dei vicepresidi e l'esclusione dalla dirigenza unica? Se invece bisogna restituire centralità alla collegialità, soprattutto quella che serve per superare l'autoreferenzialità delle scuole e collegarle al territorio, allora perché rimandarne da quindici anni la riforma? Ora bisognerà capire se il nodo sarà affrontato con la fase due della riforma annunciata dal governo Renzi.