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Un paese piccolo piccolo-di Guglielmo Epifani

Un paese piccolo piccolo di Guglielmo Epifani L'anno che si sta chiudendo è stato molto importante, pieno di passioni, ma anche difficile. La situazione dell'economia mondiale segna il passo, qu...

31/12/2002
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Un paese piccolo piccolo
di Guglielmo Epifani

L'anno che si sta chiudendo è stato molto importante, pieno di passioni, ma anche difficile. La situazione dell'economia mondiale segna il passo, questo dato nel nostro Paese è ancora più grave. Mentre il resto del mondo cresceva, l'Italia cresceva e al tempo stesso declinava, oggi che la crescita è vicina allo zero, possiamo dire che per l'Italia si affaccia una complessa e negativa fase per quanto riguarda le sue prospettive industriali. Più volte abbiamo posto questo tema, il rischio di un declino forte per il nostro Paese. Ci hanno detto che eravamo dei catastrofisti, che non avevamo a cuore lo sviluppo e la crescita del Paese.

Non è così, il senso della nostra battaglia è tutto teso a rendere il nostro Paese più forte e competitivo, non più fragile, perché se così sarà, saranno i lavoratori a dover pagare il prezzo più salato.
È stato un anno difficile perché a più riprese si sono susseguiti attacchi ai lavoratori, ai loro diritti, di cui la vicenda dell'articolo 18 rappresenta il simbolo più evidente. In assenza di una politica di sviluppo vera, ponderata e di largo respiro, c'è chi (Governo e Confindustria) ha sostenuto che dovesse essere perseguita la via bassa allo sviluppo, quella senza tutele, che indeboliva i legami sociali, che portava allo sradicamento delle politiche di welfare e di protezione sociale, secondo cui abbassando il livello dei diritti dei lavoratori, con maggiore flessibilità si potesse perseguire una via allo sviluppo più rapida ed efficace. Il Patto per l'Italia del luglio scorso va letto dentro questa ottica. Noi, invece, spesso da soli, abbiamo sostenuto che davanti ad una situazione economica non semplice, il Paese doveva scommettere su una giusta politica per lo sviluppo, scegliendo la competitività, investendo in qualità, ricerca, innovazione e formazione. Per questo, dico che l'Italia ha bisogno di un grande piano, di una sorta di terapia d'urto sul versante dell'innovazione, con investimenti pubblici per circa 10 miliardi di euro per i prossimi due anni, che proponiamo vengano reperiti attraverso una tassa di scopo sui grandi redditi. L'obiettivo deve essere quello di costruire un sistema che metta in collegamento università, laboratori, istituti di ricerca e grandi imprese, insieme a distretti costituiti da piccole aziende. Il problema del piano industriale della Fiat va letto in questa chiave: se non si investe ora, in qualità, in ricerca, in innovazione, quando ci sarà la ripresa - presto o tardi - l'azienda dell'automobile italiana non sarà pronta, all'altezza delle sfide di innovazione e qualità che si pongono sui mercati globali. Non investe in qualità, ma propone di produrre poco, in attesa di tempi migliori! È questa la nostra preoccupazione maggiore rispetto a quel piano, ribadita più volte. La Fiat è una azienda che non investe su se stessa, perché dovrebbero farlo gli altri? E ancora, le dismissioni degli ultimi giorni servono a fare cassa, oppure siamo alla vigilia di una rinegoziazione del piano fra Fiat e General Motors? Il Paese chiede chiarezza sulle sorti del maggior gruppo industriale italiano, sono in gioco quasi trecentomila posti di lavoro, compreso l'indotto e il futuro produttivo e industriale dell'Italia. Ma purtroppo, l'elenco delle crisi industriali aperte nel nostro Paese sembra un bollettino di guerra e il Governo invece di impegnarsi per trovare soluzioni adeguate, inventando anche strumenti nuovi di sostegno alle grandi crisi industriali, per il rilancio delle politiche pubbliche nel nostro Paese, l'unica cosa che è riuscito a mettere in campo è un accordo di programma con l'azienda Fiat che esclude i Sindacati e i lavoratori. Per contrastare queste politiche abbiamo proposto uno sciopero generale di tutti i settori produttivi, che noi speriamo possa essere unitario, per il mese di febbraio da preparare con cura. Dovrà essere quella l'occasione per ribadire la nostra preoccupazione e la nostra contrarietà alle scelte economiche di questo governo, ma anche per ribadire la centralità che per noi ricoprono le politiche pubbliche a sostegno dell'industria italiana.

Vedo che oramai, quasi tutti, parlano di declino, quando noi soli - coraggiosamente - avevamo avanzato questo tema. Questo Governo opera per divisioni, fra il Nord e il Sud, fra i pensionati e i lavoratori, fra i pensionati (una quota parte minima) che hanno ottenuto l'aumento della pensione e la maggior parte che non vi ha potuto accedere, fra i cittadini onesti che pagano le tasse e coloro che in attesa del condono non le hanno pagate, peggiorando di molto i conti pubblici. Quello che è stato minato in profondità è il rapporto fra il cittadino e lo Stato.

Le scelte sbagliate operate dalla legge Finanziaria, da ultimo il condono, amplificano questa divisione. Quando saltano le certezze per gli enti locali, quando Comuni, Province e Regioni sono contro lo Stato per il venir meno di finanziamenti che mettono a serio rischio i bilanci e quindi i servizi ai cittadini, quando invece di attuare la riforma costituzionale del Titolo V si antepone la "devolution" si riducono le reti del diritto pubblico, si mettono a serio rischio il rispetto e la dignità delle persone, dei giovani, degli anziani. Quando vengono meno le risorse per il sostegno alle fasce sociali più deboli (ad esempio il reddito minimo di inserimento), si peggiora la situazione di centinaia di migliaia di famiglie, ributtandole sotto la soglia della povertà. Per questo abbiamo proposto di mettere a carico del fisco una parte dei contributi sociali sui redditi medio bassi; si favorirebbe l'emersione dal sommerso, si sosterrebbero i settori a bassa produttività e i lavoratori avrebbero a disposizione più risorse per alimentare i consumi. È il diritto delle persone che genera un diritto collettivo, è in nome dell'affermazione di questo principio che guardiamo con preoccupazione a ciò che è avvenuto in questi mesi.
L'anno che abbiamo alle spalle è stato segnato da uno straordinario movimento di mobilitazione che è destinato a durare, perché le radici, le motivazioni di fondo si alimentano dalle politiche sbagliate del Governo, che non puntano allo sviluppo e alla crescita. Siamo in presenza di un movimento davvero nazionale, in cui si saldano insieme i lavoratori e cittadini, per la difesa dei diritti. L'altro incredibile successo è segnato dalla raccolto di firme, obiettivo (oltre cinque milioni) a cui nessuno credeva: non è un caso se su questa strada abbiamo incontrato prevalentemente i giovani, perché l'assenza di sicurezza per il futuro, la difesa dei diritti e il rispetto della dignità delle persone parlano la stessa lingua. Questi giovani lottano per i propri diritti ed hanno trovato in questa Cgil un compagno di strada, per la tutela dei diritti delle persone. Il prossimo appuntamento sarà a Milano per il 1° marzo, una grande mobilitazione nazionale per la difesa dei diritti e della pace.

Quando penso a cosa fare nel 2003, penso che dobbiamo fare di più, ma soprattutto fare meglio. Dobbiamo essere capaci di allargare il fronte sociale, di parlare a quel pezzo di Italia che ancora non sa, che non sta con noi perché la battaglia per i diritti del lavoro e di cittadinanza non è altra cosa rispetto alla battaglia per lo sviluppo e la crescita del nostro Paese. Stiamo raccogliendo idee e proposte per l'uscita dell'Italia dalla crisi, che presenteremo nella primavera prossima nel corso di una conferenza programmatica che vuole rappresentare il nostro contributo in termini propositivi. Confido che saremo ascoltati con attenzione e presi sul serio.

Su queste nostre battaglie, sul declino del Paese e sull'assoluta urgenza di politiche pubbliche degne di una Paese moderno, contro la devoluzione che spacca l'Italia, per la difesa dei diritti dei cittadini e dei lavoratori, ci piacerebbe incontrare Cisl e Uil, con cui non abbiamo condiviso l'idea del patto per l'Italia e molte scelte operate, ma con cui vogliamo dialogare per sostenere e condividere le comuni ragioni, per il bene dei lavoratori, dei cittadini e del Paese intero.

Abbiamo paura per la guerra e speriamo nella pace, diciamo no alla guerra preventiva. La diplomazia internazionale non deve lasciare nulla di intentato per evitare che i venti di guerra spirino in Iraq, confidiamo per questo nel ruolo fondamentale delle organizzazioni internazionali. Senza la pace i diritti degli uomini, dei cittadini, dei lavoratori sono più fragili. È per questo che siamo tenacemente contro la guerra, che ovviamente - come sempre - finisce per rivolgersi contro gli inermi e gli innocenti.

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