Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità-50mila a Roma per dire no alla Bolkestein

Unità-50mila a Roma per dire no alla Bolkestein

50mila a Roma per dire no alla Bolkestein Associazioni, movimenti, partiti e sindacati: sul modello sociale non si torna indietro di Felicia Masocco / Roma STOP ALLA BOLKESTEIN perc...

16/10/2005
Decrease text size Increase text size
l'Unità

50mila a Roma per dire no alla Bolkestein

Associazioni, movimenti, partiti e sindacati: sul modello sociale non si torna indietro

di Felicia Masocco / Roma

STOP ALLA BOLKESTEIN perché "la sanità e l'istruzione non vanno privatizzate", perché "l'acqua è un bene comune" ed è meglio che resti pubblica, perché sarebbe assai singolare se un Comune qualsiasi, per un appalto qualsiasi non potesse mettere
i suoi vincoli, non potesse ad esempio dire che nelle mense scolastiche del suo paese vuole soltanto cibi biologici. O se non potesse più chiedere ai concorrenti il certificato antimafia. Di questo hanno parlato striscioni e slogan del corteo che nel pomeriggio di ieri ha attraversato il centro di Roma, cinquantamila i partecipanti secondo gli organizzatori e decine e decine di sigle tra movimenti, associazioni, sindacati, partiti. Dall'Arci ad Attac, i Beati Costruttori di Pace, Legambiente, Rete Lilliput, Unione degli studenti solo per citarne alcuni. Con loro i no global, i partiti della sinistra, i Cobas e la Cgil e moltissimi amministratori locali. Una manifestazione serena ma determinata virtualmente abbracciata a quelle che si sono tenute in altre città europee. La sfida è infatti europea, richiamare l'attenzione sulla direttiva che porta il nome dell'ex commissario Frits Bolkestein. La sua filosofia: nei servizi pubblici "va eliminato qualsiasi ostacolo che limiti la concorrenza".
Con bandiere, palloncini, striscioni e slogan i manifestanti hanno detto no. C'era chi ha promosso la marcia, chi vi ha aderito e chi ha partecipato. Diversità di vedute, tra chi chiede che il provvedimento venga ritirato e chi pensa invece vada modificato nelle parti più devastanti. Posizioni che si sono ritrovate la mattina in un convegno in Campidoglio. Adriano Labbucci, presidente del consiglio provinciale di Roma ha proposto di trasferire una delegazione di amministratori a Bruxelles, per esprimere rischi e e preoccupazioni. Per la maggioranza dei presenti, la direttiva va azzerata. Ma c'è stato anche chi, come l'europarlamentare Ds Antonio Panzeri, ha proposto di modificarla in quei punti "che hanno a che fare con i diritti fondamentali dei cittadini e che devono essere sottratti alle logiche di mercato". Al corteo Panzeri ha guidato la delegazione diessina composta da parlamentari e membri della direzione. Foltissima la presenza della Cgil, con i lavoratori della Fp, delle comunicazioni, la Fiom , lo Spi, la Fillea. "L'idea di privatizzare la salute, l'acqua, l'energia risponde ad una logica di devastazione del Welfare per cui i diritti soggettivi diventano una sorta di gabbia", spiega il leader della Fp-Cgil Carlo Podda. "È necessario accorgersi - come si sta accorgendo la sinistra in Europa- che ci vuole più "pubblico". Perché con la prevalenza del mercato le condizioni delle persone sono peggiorate" osserva Paolo Nerozzi, della segreteria Cgil. Moltissimi anche i Cobas con tutte le sigle della galassia. Del resto la direttiva dà un colpo pesante a diritti del lavoro costati decenni di lotte. Basti pensare alla "clausola del paese d'origine". "È inaccettabile", per il responsabile lavoro Ds Cesare Damiano. "Regola i rapporti di lavoro sulla base delle condizioni del paese di origine. Questo porta a una logica di dumping sociale e di indebolimento della contrattazione".
Fausto Bertinotti, Alfonso Pecoraro Scanio, Marco Rizzo, Giovanni Berlinguer, Paolo Cento e molti altri i politici in corteo. "È una direttiva che più di ogni altra rappresenta questa Europa neoliberista", ha detto il leader del Prc. E a chi gli faceva notare l'assenza di una parte del centrosinistra, Bertinotti ha risposto che "da una parte sicuramente è un male, ma è anche un bene. L'Unione non deve essere una camicia di forza per i movimenti".