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Unità: «Alle Longhena hanno ragione - decreto illegale»

intervista a Franco FrabboniIl pedagogista: «Sono sorpreso dalle critiche del sindaco Cofferati. Il ministro Gelmini si comporta come una giustiziera della notte»

14/02/2009
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l'Unità

Solidarietà piena alle insegnanti delle Longhena, inevitabile davanti a chi si comporta più come «una giustiziera della notte» che come un ministro. E «sorpresa» per chi, nel Pd bolognese (alla cui nascita ha partecipato), censura le docenti che contestano il ritorno dei voti in decimi alle elementari “regalando” 10 a tutti: «Non si può argomentare che una legge va rispettata anche se ingiusta, è il decreto Gelmini che è fuori da ogni legalità». Usa parole forti Franco Frabboni, pedagogista già preside della facoltà di Scienza della Formazione dell’Alma Mater e oggi a capo del Cire (Centro interdipartimentale di ricerche educative).

Professore, da un punto di vista pedagogico come giudica il voto in cifre alle elementari?

«Premetto che condivido pienamente l’iniziativa delle Longhena e che sono sorpreso dalle critiche del sindaco Cofferati. Se noi pedagogisti siamo da sempre contrari al voto in cifre nella scuola primaria è perché un 5 non mi dice nulla di un bambino: non mi spiega se è partito indietro rispetto agli altri o se invece aveva potenzialità ma non si è impegnato. Dietro il voto non c’è il volto del bambino, non ci sono le domande che anche i bimbi pongono. Così ci si limita a giudicare la materna o la famiglia da cui provengono».

Allora perché il Pd appare diviso sulla mossa delle Longhena?

«Ne sono sorpreso, lo ripeto: come si può non reagire davanti a quelle che sono vere ritorsioni, davanti a un ministro la cui arroganza perentoria è quella dell’incolto? Oltretutto l’annullamento della delibera del Consiglio di classe sul 10 è illegittimo. Sia l’autonomia delle scuole sia l’articolo 33 della Costituzione (le arti e le scienze sono libere, anche nell’insegnamento) dicono che chi insegna deve poter giudicare in libertà. Ricordo poi che il giudizio ha sostituito il voto nel ‘77, nella fase di passaggio molti però hanno continuato a usare le cifre. E nessuno dei ministri dell’epoca, dei democristiani, ha mai minacciato interventi polizieschi come quello della Gelmini. L’attacco agli insegnanti delle Longhena mi ha fatto pensare a una specie di giustiziera della notte».

Alcuni dirigenti scolastici obiettano poi che il decreto è legge e come tale va comunque rispettato. Condivide?

Non sono d’accordo. Perché questo decreto legge non è stato discusso non dico con il mondo della scuola, ma neanche in Parlamento! È il decreto a essere fuori da ogni legalità. Qui stiamo parlando di valori e di bambini. E allora, alla destra che sul caso Englaro ci ha accusato di volere la morte e non la vita, ribatto che trattare così la scuola, questo sì è avere una cultura della morte».

C’è anche chi parla di bambini strumentalizzati...

«A ma pare che alle Longhena si sia solo voluto premiare i bimbi in una fase in cui sono ancora fragilissimi, alla fine del primo quadrimestre. Se si fosse trattato del secondo? Apriamo una discussione, come hanno detto gli assessori Virgilio e Rebaudengo. Quel che è certo è che non si può pubblicamente incriminare questi insegnanti in tv, tra l’altro tirando in mezzo Bologna come fosse il covo di una sinistra che non accetta nulla. Noi accettiamo tutto, ma non imposizioni come questa».

Ma accanto al voto non rimane anche il giudizio analitico?

«C’è questa possibilità ma è lo stesso ministro, quando parla di ritorsioni verso le Longhena, a far capire che il voto in cifre deve essere comunque preponderante. Perché le idee in base a cui si muove la Gelmini sono due. Quella della scuola “caserma”: anonima, dove come per i soldati ci sono numeri e non nomi e dove si formano solo “signor sì”. E quella della scuola “azienda”, prima palestra di meritocrazia e competizione, per cui il mio compagno di banco non è un amico ma un avversario da battere. Ecco dove si arriva con il voto in cifre, ecco perché questi docenti sono un’avanguardia democratica che non posso non difendere».

La Gelmini invoca la meritocrazia come elemento di modernità. Quando ha senso introdurla a scuola?

«Quando e se quello che si premia è il merito dei ragazzi. La meritocrazia di cui parla questa destra però non è altro che la vecchia idea di scuola come ascensore sociale, con la creazione di “piani diversi” per la futura classe dirigente e per tutti gli altri. Un bambino che prende 6 rischia di sentirsi emarginato dagli altri, più bravi. In Italia oltretutto la dispersione scolastica è ancora alta, sul 35%-40%, mentre in paesi come Germania Francia e anche Inghilterra non supera il 10-12%. Compito di una cultura progressista allora è riconoscere la conoscenza come motore dello sviluppo e portare avanti una grande mobilitazione contro la dispersione scolastica. Questa è una delle tante battaglie che l’opposizione dovrebbe fare e su cui non possiamo arrenderci».


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