Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità: Analfabeti dell’obbligo

Unità: Analfabeti dell’obbligo

2000 e il 2006 crollano dal 24,8 al 18,9% i quindicenni italiani con capacità di lettura elevate

09/09/2008
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Roberto Volpi

Prende il via oggi la rubrica di Roberto Volpi, esperto di statistica e fondatore del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza del ministero del Welfare. Tra i suoi libri “La fine della famiglia” e “L’amara medicina”.

Il dato è questo: tra il 2000 e il 2006 crollano dal 24,8 al 18,9% i quindicenni italiani con capacità di lettura elevate e invece aumentano dal 22,7 al 28,4% quelli con capacità di lettura scarse. Risultato: se nel 2000 c’erano 131 quindicenni con capacità di lettura elevate ogni 100 con capacità di lettura scarse, nel 2006 - vale a dire oggi, praticamente - ci sono appena 80 quindicenni con capacità di lettura elevate ogni 100 con capacità di lettura scarse.
Risultato: se nel 2000 c’erano 131 quindicenni con capacità di lettura elevate ogni 100 con capacità di lettura scarse, nel 2006 - vale a dire oggi, praticamente - ci sono appena 80 quindicenni con capacità di lettura elevate ogni 100 con capacità di lettura scarse. Quanti hanno capacità di lettura scarse non superano il primo livello della capacità di lettura: ovvero, detto in soldoni, non sanno leggere. Questo è lo stato dell’arte in Italia, a questo proposito, nel tempo dell’informazione continua e planetaria.
Vien da dire: complimenti. Un po’ a tutti: ai nostri quindicenni, alla scuola, alle famiglie. E, insomma, all’Italia.
Al Sud la situazione della capacità di lettura dei quindicenni è la seguente: 50 (vale a dire uno su due) hanno capacità di lettura sufficienti, 13 elevate e 37 scarse. I quindicenni che non sanno praticamente leggere sono dunque al Sud ben 37 su 100 (una proporzione da brividi, considerando che si parla di quindicenni, non di bambini dei primi anni della scuola primaria) e sono tre volte più numerosi di quelli che sanno leggere bene.
Il divario Nord-Sud è abissale. Se al Centro-Nord abbiamo 165 quindicenni con capacità di lettura elevate per 100 studenti con capacità scarse al Sud i quindicenni con capacità di lettura elevate sono appena 36 ogni 100 con capacità di lettura scarse.
Che dire? Tutti noi siamo più o meno consapevoli che i nostri giovani studenti balbettano per quanto riguarda la matematica e la capacità di districarsi nel linguaggio dei numeri, della logica e dei problemi matematici. Ma siamo decisamente più impreparati a capacitarci di dati tanto negativi per quel che riguarda la semplice lettura: dicasi, la semplice lettura. I quindicenni, tanto per chiarire, sono quanti hanno alle spalle l’intero ciclo della scuola di base, che hanno portato a termine la scuola dell’infanzia, quella primaria (le vecchie elementari) e quella secondaria di primo livello (la vecchia scuola media), sono insomma dei giovani che se non hanno ancora imparato a leggere hanno un’alta probabilità di non imparare mai più. Sono dati che, non fossero certificati dall’Istat, si stenterebbe a credere. E che dire del loro peggioramento nel tempo? Del loro vero e proprio inabissarsi tra il 2000 e il 2006? Prima alle elementari c’era un insegnante per classe. Una classe, un insegnante. Oggi nella scuola primaria ce ne sono due (uno di italiano e materie collegate e un altro di matematica e materie collegate), più altri ancora che vanno da inglese a educazione artistica. Prima c’erano i programmi ministeriali e stop. Oggi ci sono i POF, i Piani di Offerta Formativa, e ogni scuola si costruisce il proprio piano. L’intento era buono, della realizzazione meglio non parlare.
I POF sono chiamati a organizzare, chiarisce il sito web del ministero della Pubblica Istruzione, i «percorsi personalizzati nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado». E, del resto, basta prendere il primo POF che mi è capitato sotto gli occhi cliccando su Google, quello dell’Istituto Comprensivo di Calcinate (provincia di Bergamo), per imbattersi nell’obiettivo principe della scuola di base che sarebbe precisamente quello di «differenziare la proposta formativa adeguandola alle esigenze di ciascuno», in modo tale da dare a ogni studente «la possibilità di sviluppare al meglio la propria identità e potenzialità».
E intanto, in questo tripudio di personalizzazione dell’insegnamento affinché ogni studente possa subito trovare la sua strada e subito affermare le proprie potenzialità, si è semplicemente persa la strada del leggere, dello scrivere e del fare di conto. È troppo chiedere che qualcuno - dal ministero agli insegnanti - si preoccupi intanto, ma lo faccia davvero, di riportare la scuola italiana su quella strada? Una strada che sarà pure minima e poco ambiziosa, ma senza la quale tutte le altre non appaiono che inconcludenti, fastidiose e pure un poco irresponsabili elucubrazioni?