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Unità-Caterina, la divorziata che non può più insegnare religione

Caterina, la divorziata che non può più insegnare religione La Curia di Fano le ha revocato il nullaosta dopo 10 anni dalla separazione col marito di Roberto Monteforte/ Roma È S...

06/09/2005
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l'Unità

Caterina, la divorziata che non può più insegnare religione

La Curia di Fano le ha revocato il nullaosta
dopo 10 anni dalla separazione col marito

di Roberto Monteforte/ Roma

È STATA LICENZIATA perché "divorziata" insegnante di religione. Per la professoressa Caterina Bonci, 38 anni, divorziata dal 1995 con una figlia, per 14 anni docente di religione cattolica nelle scuole elementari statali di Fano, la lettera del vescovo con cui le è stato revocato il nullaosta diocesano deve essere stato un fulmine a ciel sereno. Forse la sua colpa è quella di essere avvenente. Di aver indossato, ma non a scuola, la minigonna. È il suo dubbio, visto che la Curia sapeva da 10 anni della condizione di separata. "Sono stata attaccata da colleghe e dal personale della scuola che, considerandomi avvenente - si lamenta -, m'hanno vista sempre male. Non possono trattarmi così dopo 14 anni di insegnamento: è cattiveria pura".
Il suo comportamento a scuola è sempre stato irreprensibile. Lo conferma Fausto Antonioni, il preside della scuola dove la Bonci ha insegnato. La giudica "docente seria e competente". Così sgombra il campo dalle chiacchiere. Resta la motivazione ufficiale della Curia, quel "licenziata perché divorziata", che non condivide, ma contro la quale può ben poco, visto che c'è di mezzo il Concordato.
Non vuole commentare l'episodio il vescovo di Fano, mons. Vittorio Tomassetti: "Non sono maturi i tempi per esprimere un'opinione". Chi parla, invece, è il responsabile diocesano del settore, don Alcide Baldelli. Chiarisce come il punto sia stata la decisione della Bonci di partecipare al concorso statale del 2004, che consentiva ai docenti di religione di entrare nella graduatoria nazionale per insegnare anche altre materie. "L'abbiamo lasciata al suo posto malgrado fosse divorziata perché convinti che la rottura del matrimonio fosse stata colpa del marito. Ma poi lei - spiega - ha partecipato ad un concorso senza attendere il nostro certificato di idoneità. Questo ha fatto precipitare le cose e siamo stati quindi costretti ad annullare la sua prova. Era divorziata e quindi non poteva partecipare". Poi don Alcide sferra un attacco personale. "Il motivo è il divorzio, ma certo i suoi atteggiamenti e le sue minigonne hanno contribuito ad aggravare i rapporti... Insomma, la sua figura mal si concilia con quel ruolo. Il caso è chiuso - taglia corto -. Abbiamo preso la decisione con ritardo: dovevamo bloccare la sua pratica dieci anni fa, ma siamo stati caritatevoli".
Ma l'insegnante, con una figlia a carico e tanti sacrifici alle spalle, non si arrende. Ha fatto ricorso al Tar Marche e al Consiglio di Stato che in appello nel febbraio 2005 le ha negato la sospensiva. "La Bonci non può considerarsi in possesso del certificato di idoneità" afferma il legale della Curia, avv. Paolucci. L'insegnante si trova in difficoltà. "Chiedo che qualcuno mi aiuti a difendere la mia dignità e il lavoro di insegnante". La situazione è complessa. I sindacati non hanno possibilità di intervenire. "Quel certificato di idoneità della diocesi è richiesto dal concorso del 2004 perché previsto dal Concordato e dall'Intesa sottoscritta tra Cei e governo italiano nell'85" affermano fonti sindacali. Il destino del docente di religione è quello "di essere sospeso tra due padroni, lo Stato e la Chiesa. È il frutto del Concordato". "Forme, modi e procedure per il rilascio dell'idoneità sono a carico della Chiesa e regolate dal codice di diritto canonico". Sono molti i casi alla Bonci di "irregolarità". Chi vive nella scuola lo sa bene. Il punto è la discrezionalità esercitata dal "delegato diocesano": in quali casi scatta il veto e in quali altri, invece, arriva il nullaosta? "Contro la revoca dell'idoneità ricorra ai sensi del diritto canonico" consiglia il sindacalista che attende il pronunciamento del Consiglio di Stato e del Tar. "Sarà una sentenza che farà scuola".