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Unità: «Chi lavora dove manderà i figli?»

La rabbia dei genitori

03/09/2008
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l'Unità

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di Eduardo Di Blasi / Roma

«Ma è uno spreco di risorse investire nell’ultima scuola che funziona in Italia?». Marina ha trentotto anni, due figlie divise tra una materna e la seconda elementare, un lavoro e un marito che lavora da par suo. Marina è una mamma arrabbiata perché pensa che il decreto del ministero dell’Istruzione rappresenterà per lei un problema con il quale dovrà fare i conti. Il combinato disposto del nuovo «maestro unico» e delle «24 ore di lezione settimanale» salvo la «più ampia articolazione del tempo-scuola» pure ricordata nel testo ma in una formulazione ancora troppo fumosa per rappresentare un’alternativa credibile al tempo pieno (altrimenti perché articolarne la forma diversamente?), è destinato per Marina a portarla davanti ad una scelta che per lei, da sempre sostenitrice della scuola pubblica, potrà essere spiacevole.
Per comprendere quale sia questa scelta proviamo a ragionare con lei su quale sia la scuola che la sua figlia più piccola troverà tra un paio d’anni, quando, in maniera «soft», come si dice, sarà già entrato in funzione dalla prima classe il «maestro unico» e le ore di lezione effettive passeranno ufficialmente a ventiquattro settimanali.
Il quadro che fa Marina è fosco: «Io ho avuto la fortuna di aver frequentato il tempo pieno poco dopo l’inizio della sperimentazione, e anche se credo che le otto ore che quotidianamente la mia bimba più grande passa a scuola siano caratterizzate da una continua messe di nozioni che non sempre le servono - era migliore anni fa, quando eravamo scolari noi, questi stanno sempre ad “imparare”- quello che avremo davanti l’anno prossimo sarà peggio». Perché? «La nuova articolazione del tempo scuola rischia di creare solamente un parcheggio pomeridiano per chi, come noi, non può andare a recuperare i figli all’ora di pranzo. E allora le scelte saranno due: o li porti a casa e li lasci davanti alla tv o ai videogiochi, oppure decidi che essendo i tuoi figli sul loro futuro ci devi investire, e allora se trovi una scuola privata che fa le otto ore per bene, dimentichi anche che sono anni che ti batti per una scuola pubblica che dia la possibilità a tutti di studiare e di confrontarsi con gli altri, e li iscrivi lì. Lasciando la scuola pubblica, soprattutto nelle grandi città, ai bimbi dei cittadini stranieri, a quelli di chi non può permettersi quello che noi, con qualche sforzo, ancora possiamo».
Non è un caso che tra le scuole paritarie, in Italia, quelle del ciclo primario (le vecchie elementari) siano in numero decisamente minore (sono 1510 contro i 16.285 istituti superiori) e siano destinate per la stragrande maggioranza, anche quelle che vantano un’offerta formativa d’eccellenza, ad una scelta «confessionale», religiosa più che formativa. Non è un caso perché nel sistema scolastico italiano le scuole elementari sono un vanto internazionale (quinti nel mondo, salvo poi precipitare nelle classifiche dalle medie in poi). Per questa ragione, domanda Paolo Masini, che è consigliere comunale a Roma, ha due figli in età scolare ed è tra gli animatori del Coordinamento dei Genitori Democratici «dovranno essere i genitori a scendere in piazza, a far sentire la propria voce in questa faccenda, perché qui non si stanno mettendo a rischio solo i posti di lavoro degli insegnanti, ma anche il futuro dei nostri figli e un pezzo della democrazia che resta in questo Paese». Angela Nava, che del Coordinamento è la presidente non vuole fare discorsi su scenari futuri (anche se immagina possa essere creato un bonus ad hoc, come accade in Lombardia, per iscrivere i propri figli alle scuole private), ma è convinta che questa volta ci sarà una reazione. «Perché il maestro unico - afferma - scardinerà la scuola italiana. Perché qui non è la questione tra i nostalgici del maestro unico, ma il fatto che il maestro unico significa le 24 ore di lezione di scuola primaria. Punto. Quale welfare si metterà in moto per le famiglie che avranno i bambini a spasso? Quando ci si renderà conto che questo decreto peggiorerà lo stile di vita delle persone usciremo dalle secche di un dibattito sul grembiulino».