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Unità: Ci guadagno anch’io? No, tu no...

Moni Ovadia

02/02/2008
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l'Unità

La Banca d’Italia, una delle istituzioni più rigorose e neutrali che vigilano sull’economia nazionale e ne seguono i flussi, ha comunicato al Paese una verità incontrovertibile basata su dati ufficiali: dal 2000 al 2006 gli operai e gli impiegati, i lavoratori come si chiamavano una volta, non hanno beneficiato di nessun incremento nei loro redditi, ovvero hanno perso potere d’acquisto dei loro salari. Il grave annuncio non ce l’ha dato l’ufficio studi della Cgil né la direzione del Partito della Rifondazione Comunista, né un autorevole esponente dei Comunisti Italiani, la fonte è la Banca d’Italia quella del governatore Mario Draghi, uno dei grandi e rispettati commis delle nostre istituzioni pubbliche. È opportuno ribadirlo per distillarne appieno il valore. Certo, sono stati anni difficili, c’è stato l’11 settembre, la crisi economica che ha accompagnato quel tragico evento. L’Italia ha conosciuto una bassissima crescita del Pil e i costi del passaggio all’euro. Gli economisti, i veri economisti, gli scienziati dell’economia, si sono affrettati a spiegarci che il mancato incremento di stipendi e salari è dovuto al mancato sviluppo. Geniale constatazione. E allora perché gli altri redditi come quelli da lavoro autonomo, sono cresciuti e soprattutto sono cresciute le rendite, magari esponenzialmente, perché l’Italia ne è il regno? Del resto nel contesto dello stesso annuncio, la Banca d’Italia ci mette sotto gli occhi un altro dato difficilmente equivocabile: il dieci per cento delle famiglie italiane detengono il 45% della ricchezza nazionale. C’è una sola conclusione sensata che si possa trarre: il mondo è cambiato, il muro di Berlino è crollato, è finita la guerra fredda, si è scatenata la globalizzazione, il sedicente liberismo, molto selvaggio e pochissimo liberista, è diventato il pensiero unico che arricchisce i super ricchi ed impoverisce i già poveri, il nuovo nemico è l’integralismo islamico, il nuovo regno del male è l’Iran di Ahmadinedjiad, ma gli operai e gli impiegati, sia quelli a tempo indeterminato sia i precari sono, ieri come oggi, oggi come domani, mazziati e cornuti. Non solo non arrivano alla terza settimana del mese con due stipendi (moglie e marito) mentre una generazione fa un solo stipendio (quello del capo famiglia) provvedeva all’intera famiglia per tutto il mese, ma il numero delle morti sul lavoro è agghiacciante, il lavoro è spesso pericoloso o degradante o umiliante o insufficiente.
Come siamo arrivati a questo schifo? Ci siamo arrivati anche con l’uso ideologico della sedicente scienza economica. Schiere di scienziati dell’economia si sono scatenati con l’utilizzo di complessi modelli matematici per raccontare urbi et orbi che quando l’economia va male, è sempre colpa del lavoro: troppo remunerato, non flessibile, non competitivo, con orario troppo corto, slegato dalla produttività e via sproloquiando e legiferando con l’unico scopo di comprimere le dinamiche salariali. I modelli matematici non solo non tengono mai conto del lavoratore in quanto essere umano, ma sembrano anche ignorare il fatto che se il potere d’acquisto della stragrande maggioranza della cittadinanza si contrae, crollano i consumi e l’intero organismo economico ne patisce se lo si intende come organismo sano e solidale.
Nicolas de Chamfort scriveva che gli economisti sono chirurghi che hanno un eccellente scalpello e un bisturi scheggiato, sicché operano a meraviglia sul morto e martirizzano il vivo. Peraltro, l’aumento dei salari e del loro potere d’acquisto - secondo economisti di altro orientamento come quelli della scuola di Cambridge tra i quali Richard Kahn e John Maynard Keynes che ne ripresero le idee - svolge il ruolo di moltiplicatore economico. Questo ovviamente se si guarda ai soggetti economici con principi di equità. Perché sia chiaro, è un bene che i lavoratori autonomi abbiano incrementato i loro guadagni, ma è male che lo stesso non sia accaduto ai lavoratori dipendenti. Lo sanno anche imprenditori lungimiranti che autonomamente hanno elargito aumenti o gratifiche ai lavoratori delle loro imprese.
Intanto a sessant’anni dalla sua promulgazione, l’articolo 1 della nostra Costituzione recita: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Dopo gli annunci di Banca Italia mi pare che oggi quella solenne dichiarazione abbia un suono beffardo.

Malatempora