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Unità: Com’è strano il flessibile a Milano

Loro l'accettano la flessibilità, anche quando rasenta la precarietà. Ma vorrebbero che fosse davvero un ponte per il domani

21/08/2006
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l'Unità

Bruno UgoliniLoro l'accettano la flessibilità, anche quando rasenta la precarietà. Ma vorrebbero che fosse davvero un ponte per il domani. E invece la vedono spesso, troppo spesso, trasformarsi in un percorso di guerra, senza fine. Stiamo parlando dei giovani milanesi atipici. Il dato emerge dall'interessante indagine (curata da Francesca Zajczyk) realizzata dall'Università degli Studi di Milano Bicocca su un campione di 50 lavoratori dell'area metropolitana, Il titolo è «Sfide, rischi e opportunità del mondo flessibile». Molti tra gli interrogati sono disponibili a sperimentare situazioni diverse, a mettersi alla prova con se stessi, a crescere professionalmente nel vitale tessuto produttivo milanese. Affrontano un'«instabilità» che è accettata, nella prima fase d'ingresso. Potrebbe servire a chiarire a chi s'affaccia sul mercato del lavoro che cosa davvero intende fare nella vita e ciò che non intende fare. E invece i protagonisti vedono prolungarsi senza tregua quella che doveva essere un'esperienza transitoria, passando per lavori sempre più limitati nel tempo. La durata media dei contratti a termine è scesa dai 91 giorni nel 2004 agli 80 nel 2005. Loro sarebbero disposti anche ad avere retribuzioni basse se in cambio potessero disporre di un arricchimento professionale. Sanno che tale arricchimento aumenta il valore del proprio curriculum. Per questo molti seguono corsi di formazione post diploma e post laurea, magari pagati con le proprie tasche e non dalle imprese. Anche per questo tra i vantaggi presenti in certi lavori flessibili s'insiste sulla possibilità di godere di un certo grado di libertà e autonomia nell'organizzazione del lavoro. Tanto è vero che c'è perfino chi ha lasciato il posto fisso. Hanno voglia di realizzarsi, non cercano un'occupazione qualsiasi, poiché «non di solo pane vive l'uomo». Vorrebbero davvero spazi di libertà e autonomia nel lavoro ma spesso ritrovano le stesse rigidità tradizionali presenti nel posto fisso. E con scarse garanzie e tutele, con minore stabilità. Nella sostanza i giovani milanesi indagati dall'università della Bicocca non chiedono il ritorno al posto fisso, chiedono tutele adeguate. Come, ad esempio, un sostegno al reddito nel periodo di disoccupazione, una formazione continua, la possibilità di accedere al credito e in particolare al credito per l'affitto o l'acquisto di un'abitazione. E chiedono che alla fine il periodo d'indeterminatezza professionale abbia una sua conclusione, non sia eterno.

Anche perché tale indeterminatezza comporta impressionanti sfasamenti. C'è, ad esempio, chi lavora al weekend e denuncia una vita opposta a quella degli amici… Altri testimoniano una progressiva aridità esistenziale: "Ci sono dei giorni in cui arrivi talmente stanca dal lavoro che l'unica cosa che vuoi è andare a letto a dormire... Per anni sono stata abbonata a teatro e quest'anno non ho rinnovato l'abbonamento...». Pesa il non sapere se il contratto sarà rinnovato oppure no. Gli autori dell'indagine parlano di una profonda frustrazione. Tale stato d'animo è acuito «dalla percezione di vivere in un ricco contesto metropolitano che offre uno spettro d'opportunità culturali e di svago ampio e diversificato, cui però si accede con difficoltà e non con la frequenza desiderata».

Il lavoro precario sembra così configurarsi «come un'esperienza che non

favorisce l'integrazione sociale dell'individuo entro una più ampia rete di rapporti e scambi... La moltiplicazione delle forme che il lavoro assume, la riduzione dei momenti di simultanea presenza con i colleghi entro spazi comuni, l'instabilità e frammentarietà delle esperienze lavorative rendono più difficile la nascita e lo sviluppo di legami sociali».

Chi si muove a favore di questi atipici? L'indagine della Bicocca cita esperienze locali (Trentino, Liguria, Torino, Milano provincia, Napoli, Bari, Lecce, Cosenza, Emilia Romagna, Toscana). Non sono prese in considerazione esperienze sindacali. E' vero che gli intervistati su questo punto hanno espresso una sorta di distacco. È altrettanto vero che organizzazioni come Il Nidil-Cgil, Alai-Cisl e Cop-Uil hanno in questi anni messo insieme centinaia d'accordi nel mondo della flessibilità. È una componente non secondaria di una battaglia generale per promuovere quella che l'ex assessore al Lavoro della Provincia di Milano (oggi sottosegretario alle Comunicazioni), Luigi Vimercati ha chiamato una vera e propria «rivoluzione culturale» delle politiche del lavoro. Onde annullare l'equazione flessibilità uguale precarietà ed emarginazione sociale.

brunougolini@mclink.it