Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità: Diritti sotto assedio

Unità: Diritti sotto assedio

Sulle pagine dei giornali dell’altro giorno si incrociavano due argomenti: l’irruzione in campagna elettorale della crociata contro la 194, e la tirata della Cei contro la presunta scena «hard» del film Caos calmo

15/02/2008
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Silvia Ballestra

Sulle pagine dei giornali dell’altro giorno si incrociavano due argomenti: l’irruzione in campagna elettorale della crociata contro una delle poche leggi di questo Stato che funziona, la 194, con gli aborti clandestini spariti e quelli legali, fortunatamente, dimezzati, e la tirata della Cei contro la presunta scena «hard» del film Caos calmo. L’accostamento è giusto poiché l’ingerenza della Chiesa, nonostante ci si affanni a dire che il Vaticano è una cosa e la Cei un’altra, o che nessuno vuole toccare la 194 e che la laicità dello Stato non è in discussione, si fa di giorno in giorno più pressante. Sui temi etici, sulla nascita, sulla morte, su come si fanno o non si fanno i bambini, su cosa deve essere la nostra sessualità, su come si può morire, in buona sostanza sui passaggi fondamentali della vita di ognuno di noi, c’è in questo paese un monopolio che si vorrebbe indiscutibile. Monopolio, controllo, potere. Cos’ha dato veramente fastidio nel film di Antonello Grimaldi? Non è credibile che si tratti della scena di sesso, una scena che si potrebbe trovare in qualsiasi telefilm a qualsiasi ora, né il seno di Isabella Ferrari (se dovessero attivarsi per ogni donna nuda, i fax della Cei fonderebbero). C’è di più e di meglio: c’è, in Caos calmo la rappresentazione di un lutto epurato da qualsiasi accenno alla tradizione cattolica. Insomma, muore una donna, una madre, e il marito e la figlia affrontano il dolore in maniera umanissima e non ortodossa: piombati nel caos, quietamente, sobriamente, ma decisamente lontani da ogni conforto di tipo religioso. La loro elaborazione del lutto è, per così dire, fuori dalle regole codificate e consigliate dalla religione, non solo senza prefiche, ma anche senza un prete né una preghiera all’orizzonte. Dunque, personalmente non credo affatto che sia stata la scena di sesso, peraltro edulcorata rispetto al libro di Sandro Veronesi, a far scattare il veemente penitenziagite, l’invito all’obiezione di coscienza rivolto agli attori e tutto l’armamentario da concilio di Trento. Il dispetto e lo scandalo riguardano semmai quel dolore muto e laico, che non chiede conforto alla fede, che è un altro mattoncino del monopolio che se ne va, altro terreno perduto. Dopo la nascita e la morte, ecco il dolore: un altro luogo dell’esistenza, che non è più sotto stretto controllo dei preti. Viene da qui, e non da un frettoloso accoppiamento, la minaccia laica del film.
I fondamentalisti incattiviti attaccano su ogni fronte, a tappeto, anche un po’ scompostamente, aggressivi come chi perde terreno. Ed è un peccato. Perché così facendo si spreca l’occasione per un confronto vero, legittimo, su temi assai articolati. Lo scandalo, la censura, l’appello all’obiezione di coscienza non sono soltanto un’ingerenza (dopotutto, ognuno fa l’amore come vuole), ma un errore, perché alzando i toni, rendendo tutto questo violento e rozzo, invitando all’astensione dunque all’ignoranza e alla deresponsabilizzazione, veniamo tutti ricacciati in un angolo oscuro.
Se tutto ciò rimanesse al livello di dibattito teorico, di discussione colta e problematica, oppure anche solo di gossip, o di spettacolarizzazione buona per le prime pagine (funziona la foto di Moretti, funziona l’irruzione scenografica stile Rambo all’ospedale di Napoli), potremmo anche sorvolare. Ma invece, toccare il dolore, maneggiare la sofferenza delle persone, richiede molto più pudore e rispetto. Da mesi sento ripetere nei miei giri fra le donne «non facciamoci dettare l’agenda politica da Ferrara», «ignoriamolo»: è un atteggiamento condivisibile poiché è ripugnante buttare nel parapiglia della contesa elettorale temi tanto dolorosi e delicati. Ma l’apparizione della lista pro-life e l’insistenza su questa solenne scemenza della moratoria sull’aborto (che avrebbe come ricaduta naturale il ritorno a pratiche clandestine e pericolose) hanno effetti deleteri e di inaudita gravità. Il vergognoso episodio di Napoli è solo l’ultimo di un lungo stillicidio di provocazioni, basti guardare alla Lombardia di Formigoni: funerali ai feti, consultori svuotati, liste d’attesa per gli aborti (chiunque intuisce che ogni giorno d’attesa in più significa la maturazione del feto con maggior carico di sofferenza per tutti, solo i sadici gioiscono) perché due medici su tre sono obiettori di coscienza. In più, feroce minaccia, la rianimazione forzata dei super-prematuri che suona, questo sì (altro che «l’eugenetica») veramente crudele e peggio: incapace di pietà.
È vero, non facciamoci dettare l’agenda. Anche questo, soprattutto questo volevano dire le migliaia di donne che ieri hanno affollato manifestazioni e presidi in tutta Italia. Ma non solo: stanche di giocare in difesa per salvaguardare diritti acquisiti che - come si vede - acquisiti non sono mai, si chiedevano anche: ma per dettarla noi, l’agenda dei nostri corpi e delle nostre vite, che bisogna fare? Dovremmo chiedere a gran voce che l’obiezione di coscienza non diventi, com’è di fatto, una facilitazione per la carriera dei medici. Dovremmo avere il diritto di morire in pace, senza rimanere attaccati a forza a un respiratore, dovremmo gestirci i nostri lutti senza anatemi. Dovremmo raccontare con più forza com’era la situazione prima delle conquiste civili di questo paese che oggi vengono rimesse in discussione con tanta malafede. E soprattutto dovremmo avere il diritto di riflettere serenamente e con rispetto su tutto questo senza che certi crociati ci costringano all’arroccamento. Che si arrocchino loro, l’agenda è nostra, basta ricominciare a scriverla.